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Ragazza uccisa da un branco di cani in Calabria: quando le colpe degli uomini ricadono sugli animali

È di ieri la notizia della morte di una ragazza calabrese in seguito all’aggressione di un branco di cani. Ma dietro a questo episodio che fa notizia, ed è ancora sotto indagine, c’è tutta una serie di aggressioni da parte di randagi delle quali bisognerebbe essere informati per capire che il randagismo è una piaga che va combattuta dall’inizio, cioè dall’abbandono. Un fenomeno spesso sottaciuto, ma che dovrebbe essere reso noto per aumentare la sensibilità di istituzioni e cittadini. Ne parla Diana Lanciotti, fondatrice e presidente onorario del Fondo Amici di Paco, associazione nazionale per la tutela degli animali, la prima a sollevare il velo 24 anni fa sul triste fenomeno dell’abbandono, attraverso la trilogia del mitico Paco, diventato il simbolo del riscatto per tutti i cani e i gatti abbandonati o maltrattati.

Ventenne aggredita e uccisa da un branco di cani
È accaduto nelle Serre calabresi. Sul posto Carabinieri e magistrato

ANSA – 26 agosto 2021 – Una ragazza di vent’anni è morta dopo essere stata aggredita da un branco di cani randagi nella zona delle Serre Catanzaresi.
Simona Cavallaro, di 20 anni, era in gita assieme a degli amici nelle vicinanze di un’area picnic in località Monte Fiorino nel territorio del comune di Satriano. Da quanto si è potuto apprendere, la ragazza si sarebbe allontanata nei boschi dove è stata aggredita e uccisa dal branco. Sul posto sono intervenuti i carabinieri e il magistrato di turno assieme ai vigili del fuoco. 

È successo ieri, in Calabria. Una notizia che non avremmo mai voluto (e dovuto) leggere. Com’è possibile che nel 2021 succedano queste cose terribili? Cani che attaccano gli uomini, cani che da animali domestici tornano allo stato selvatico e da migliori amici dell’uomo si trasformano nei peggiori nemici. Episodi che, con un epilogo meno tragico, si verificano più spesso di quanto si creda. E si conoscono solo quando come in questo caso ci scappa il morto.
Ma sono sicura che da domani si parlerà di altri attacchi, e stavolta basterà anche un semplice graffio. Perché è così: quando l’attenzione dei media si concentra su un argomento, quell’argomento finisce sotto la lente d’ingrandimento e ogni notizia anche solo lontana parente di quella principale viene riportata, diffusa, amplificata. La grancassa dei media funziona così. E lo dico da giornalista, che sa come funzionano le cose.

Il caso della povera ragazza calabrese è sotto indagine, e non si sa ancora se i cani fossero realmente randagi o una muta di cani da pastore (si parla di 10-15 soggetti, che mi sembrano francamente troppi, per far la guardia a un gregge). Fatto sta che c’è vouto il morto, purtroppo, perché si parli ancora una volta di un fenomeno spesso sottaciuto, ma più frequente di quanto si sappia: l’aggressione di cani randagi ai danni dell’uomo.
Succede, purtroppo, succede più spesso di quanto si creda. Succede che cani abbandonati, soprattutto nelle regioni del Sud dove, mi duole dirlo, l’abbandono è pratica molto più diffusa e dove le amministrazioni non fanno abbastanza per contrastarlo, si ricostituiscano in branco e scatenino la loro aggressività, facendosi forza l’un con l’altro.
Succede, ma non fa “abbastanza” notizia se non muore qualcuno.

Come scrivevo nel marzo 2012, quando quella che sembrava un’escalation di aggressioni (ci furono anche due morti) fece sì che giornali e tg sbattessero il mostro canino in prima pagina:

“…le aggressioni di cani randagi sono non dico all’ordine del giorno, ma molto più frequenti di quanto telegiornali e giornali nazionali ci raccontino…
E invece, sulle quasi quotidiane aggressioni da parte di randagi si sta zitti. Bisogna proprio che ci scappi il morto, perché se ne parli.
È triste, ma è così. E così noi rischiamo di non sapere che le aggressioni di cani randagi (randagi perché abbandonati da qualche “bestia” umana, perché rinselvatichiti, perché non sterilizzati) costituitisi in branco sono un fenomeno molto ma molto più frequente.
A giornali e tigì non interessa nulla dirlo. Non fa notizia. E ai comuni, alle forze dell’ordine, ai vari poitici sempre in primo piano alle manifestazioni animaliste più “di moda”, dove c’è sempre una selva di microfoni per intervistarli e di telecamere per riprenderli a testimonianza del loro sincero e profondo impegno animalista, interessa men che meno. Anzi, è un problema di cui proprio non vogliono sentir parlare. Lasciateli in pace, poverini.
Eppure quello del randagismo e dei pericoli che ne derivano è un problema grosso, che mette a repentaglio l’incolumità dei cittadini e parlarne, tracciarlo nella giusta gravità, servirebbe a far capire a chi ancora non lo capisce che abbandonare i cani non è solo crudele e ingiusto verso i cani stessi, ma è anche un pericolo per la salute pubblica…
Tutti quei “feroci assassini” che hanno sbranato degli esseri umani erano a loro volta il Fido, il Billy, il Benny di qualcuno, o tutt’al più ne sono i figli, o i nipoti. Loro, o i loro genitori, o i loro nonni, un giorno sono stati scaraventati per strada, gettati come scarpe vecchie e consunte, lasciati a sbrigarsela da soli. E loro, seguendo la memoria atavica del loro progenitore, il lupo, si sono uniti e ora, dimentichi di essere stati animali domestici, come tanti lupi famelici aggrediscono gli esseri umani, punendo un uomo innocente per le colpe di quell’uomo che un giorno li ha rifiutati e condannati a vivere ai margini della società civile. Bollandoli poi come “belve assassine”.” (v. https://www.dianalanciotti.it/randagi-contro-uomini-le-verita-taciute/)

Sono passati otto anni da quando scrivevo queste parole e, oggi come allora, all’origine di tutto ci sono l’indifferenza, l’ignoranza, l’egoismo, la crudeltà. Che portano a considerare un cane, o un gatto, alla stregua di una scarpa vecchia da buttare. Anzi, forse a quella si dà più valore. Ne ho l’esempio quotidiano dai contatti con tanti rifugi del Sud Italia, al collasso in questo periodo per l’arrivo di intere cucciolate strappate alle mamme e abbandonate al loro destino. In prevalenza cani da pastore, o da caccia, i cui padroni considerano i cani strumenti da lavoro, da spremere come limoni.

Già, perché negli anni il fenomeno dell’abbandono si è modificato. Non esiste più o quasi più l’abbandono legato alla vacanza estiva. Si è ridotto al lumicino, per fortuna. Anni e anni di campagne di sensibilizzazione saranno pur serviti a qualcosa. E qua rispondo a chi, invece, pensa che non siano serviti, visto che l’abbandono è ancora diffuso. È diffuso, ma con le modalità che ho già spiegato: non ci si libera più del cane per andare in vacanza, perché ormai in vacanza ci si può andare anche con il cane e perché ormai il cane è spesso equiparato a qualsiasi componente della famiglia. Un cambiamento di cui dobbiamo ringraziare innanzitutto il nostro grande Paco che, attraverso il suo esempio e la sua storia di cane abbandonato e adottato, divenne il simbolo dei cani meno fortunati di lui. Testimoniando al mondo (perché la sua storia varcò i confini nazionali) l’atrocità dell’abbandono e quanto un cane sappia diventare un compagno di vita straordinario, tanto da seguire i propri padroni (mio marito e me) ovunque, persino nelle loro vacanze in barca (v. In viaggio con Paco, Paco Editore, n.d.r.). La sua storia (narrata in Paco, il Re della strada, e in Paco. Diario di un cane felice,  diventati testi di narrativa scolastica, n.d.r.) aprì il cuore e le menti di tutti, giovani e adulti, mosse le istituzioni a promulgare leggi più severe contro i reati verso gli animali e indusse le strutture ricettive ad accogliere anche i nostri compagni di vita con la coda.

Ora, invece, a liberarsi dei cani sono prevalentemente i pastori, i cacciatori, o i proprietari che non custodiscono i propri cani e lasciano che si riproducano liberamente. Parlare di sterilizzazione, a queste persone, è come parlare dell’acqua su Marte. Eppure tanti rifugi promuovono la sterilizzazione gratuita, in accordo con ASL e Regioni. Uno di questi è il Rifugio Fratelli Minori di Olbia, sulla cui pagina Facebook Cosetta Prontu, la fondatrice, pochi giorni fa a proposito dell’ennesimo ritrovamento di una cucciolata scriveva con rabbia e disperazione:

“Lo volete capire che stiamo portando avanti la sterilizzazione gratuita, vi entrerà mai in quella testa? Perché fate partorire i vostri cani per abbandonare i loro figli? Ma la vostra coscienza dove l’avete persa???”

Non potete immaginare, se non frequentate i rifugi, la quantità di cucciolate che arrivano ogni giorno. Spesso addirittura ancora da allattare, e figuratevi il lavoro di chi ogni due ore, per 24 ore al giorno, per almeno un mese, deve sobbarcarsi l’impegno di allattare dei piccolini che sennò non sopravvivrebbero.
Lo tocco con mano tutte le volte (e succede spesso) che mi reco al rifugio di Cosetta, il più grande della Sardegna e forse d’Italia, dove ogni giorno, quasi fosse una discarica, arrivano carichi di cuccioli. Per fortuna lì sono talmente amati e curati che sono felici. Ma sono pur sempre animali privati della libertà e di una famiglia.

Qualcuno pensa che sia una crudeltà sterilizzare i propri cani e i propri gatti. Già, e invece non è crudeltà farli accoppiare come capita e poi strappare i cuccioli alla madre e lasciarli al loro destino. Che non è mai un bel destino. O lasciarli nei pressi di un rifugio, magari confezionati in un bello scatolone, nella speranza che qualche anima buona li trovi e li porti in salvo, dove però ci sono altre decine, se non centinaia, di cani e gatti da accudire perché altri irresponsabili se ne sono disfatti.
E se invece non arriva l’anima buona a salvarle, se non muoiono di stenti o sotto un camion, spesso queste povere creature rifiutate e condannate dal più crudele degli inquisitori si riuniscono in branchi, perdendo qualsiasi parvenza di domesticità. E l’uomo, da compagno di vita da proteggere e da cui farsi proteggere, diventa una minaccia, un nemico.

La colpa di queste aggressioni è solo ed esclusivamente dell’uomo. Che ha spezzato il millenario patto di amicizia col cane, condannandolo a precipitare nella selvaticità.
Quella povera ragazza uccisa nei boschi in Calabria non è vittima dei cani che l’hanno aggredita, ma dell’uomo che non ha saputo rispettare la vita e la dignità di esseri divenuti, per nostra comodità, totalmente umanodipendenti, facendoli diventare nemici da cui difendersi. O, nel caso in cui si stabilisse che non si è trattato di randagi, la colpa è pur sempre di chi ha sottovalutato la naturale propensione alla difesa dei propri cani e ha permesso che potessero aggredire una persona.

In entrambi i casi, per evitare altre tragedie servono una più profonda cultura animalista, la diffusione di valori come il rispetto e la comprensione, nuove leggi e soprattutto l’applicazione di leggi che già ci sono ma nessuno fa osservare.

Diana Lanciotti
fondatrice Fondo Amici di Paco – Associazione nazionale per la difesa degli animali – O.D.V.

INFORMAZIONI AGGIUNTIVE
Diana Lanciotti, pubblicitaria, giornalista e fondatrice del Fondo Amici di Paco, è nota per i suoi libri sugli animali. Per chi ama i gatti: C’è sempre un gatto-Dodici (g)atti unici con finale a sorpresa e La gatta che venne dal bosco, storia piena di ironia, emozione e magia. Gli amanti dei cani la conoscono per la quadrilogia di Paco: Paco, il Re della strada, Paco. Diario di un cane felice, In viaggio con Paco e Paco, il simpatico ragazzo, bestseller che hanno per protagonista Paco, il trovatello testimonial del Fondo Amici di Paco. Grazie ai libri fotografici I miei musi ispiratori, Occhi sbarrati e Mostri canini si è fatta apprezzare anche come fotografa. In Mamma storna ha narrato la storia vera di un piccolo storno caduto dal nido. Boris, professione angelo custode è stato definito “la più toccante testimonianza d’amore per i cani”. Unendo i temi a lei cari, amore, mare, animali, ha scritto Black Swan-Cuori nella tempesta, White Shark-Il senso del mare, Red Devil-Rotte di collisione e Silver Moon-Lo stregone del mare, romanzi d’amore e di mare con i quali ha inaugurato il filone del “romanticismo d’azione”. Con La vendetta dei broccoli, “giallo vegetariano” di grande successo, ha aperto un importante dibattito sulle scelte alimentari. L’esperta dei cani, I cani non hanno colpe e Ogni gatto è un’isola sono dedicati al tema della comprensione dei nostri animali, al quale si dedica dal 2008 nella rubrica “Parliamone insieme” sulla rivista Amici di Paco. In Cara Diana ti scrivo ha raccolto 22 anni di corrispondenza con gli “amici di Paco” ma non solo. Antivirus. Emergere dall’emergenza è una raccolta di scritti per uscire dalle gabbie del Pensiero Unico Dominante. Titolare dell’agenzia Errico & Lanciotti, che firma gratuitamente tutta la comunicazione del Fondo Amici di Paco, è direttore responsabile della rivista Amici di Paco e direttore editoriale di Paco Editore. Vive in Sardegna e sul lago di Garda con il marito, tre gatti e tre cani. Il suo sito è www.dianalanciotti.it

Due parole sul Fondo Amici di Paco
Il Fondo Amici di Paco, fondato nel 1997 da Diana Lanciotti con il marito Gianni Errico in seguito all’adozione di Paco al canile, è una delle associazioni no-profit più attive a livello nazionale, sia sotto l’aspetto degli aiuti concreti ai rifugi che quello della sensibilizzazione. Sin dalla nascita, ha portato all’attenzione di istituzioni, media e cittadini le problematiche dei cani e dei gatti abbandonati rendendo noto il fenomeno del randagismo, un tempo ignorato.
Grazie a numerose campagne di sensibilizzazione (come quella di Natale: “Non siamo giocattoli, non regalarci a Natale”, o quella estiva: “Non abbandonare il tuo cane. Lui non ti abbandonerebbe mai”, o quella di Pasqua “Buona Pasqua anche a loro”, tutte realizzate gratuitamente dall’agenzia Errico & Lanciotti), ha saputo aprire la strada a una nuova coscienza nei riguardi degli animali e favorito la nascita di molte altre associazioni impegnate a difenderli, tanto che occuparsi dei diritti e del benessere degli animali è diventato un impegno diffuso e riconosciuto da tanti. In nome e nel ricordo di Paco, scomparso nel 2006, il Fondo Amici di Paco prosegue le sue attività sia nella direzione della sensibilizzazione che degli aiuti concreti ai rifugi che accolgono i cani e i gatti abbandonati. Non avendo spese di gestione (di cui si fanno carico i due fondatori), l’associazione può devolvere l’intero ricavato delle somme raccolte grazie alla generosità dei suoi sostenitori che da tutta Italia appoggiano le iniziative a favore degli animali più bisognosi.

 

Per informazioni, acquisti e donazioni
Fondo Amici di Paco tel. 030 9900732, paco@amicidipaco.it, www.amicidipaco.it
Per devolvere il 5×1000 al Fondo Amici di Paco per aiutare tanti animali in difficoltà il codice fiscale è: 01941540989

Per info, contatti per interviste, richiesta libri o immagini:

Simona Rocchi
ufficio stampa Fondo Amici di Paco
simona@amicidipaco.it
tel. 030 9900732

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FONDO AMICI DI PACO
Associazione nazionale per la tutela degli animali
Organizzazione di Volontariato – O.D.V.
Tel. +39 030 9900732 Fax +39 030 5109170
paco@amicidipaco.it
www.amicidipaco.it

Devolvi il 5×1000 al Fondo Amici di Paco per aiutare tanti animali in difficoltà.
Il codice fiscale da indicare è: 01941540989.
Per informazioni: www.amicidipaco.it
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Un commento

  • Daniela

    Se la gente sterilizzasse invece di abbandonare forse certe cose non accadrebbero. Inoltre le Usl veterinarie sul territorio dovrebbero sterilizzare gratuitamente per arginare una piaga scandalosa! Gli animali liberi sul territorio appartengono allo stato e le regioni ed i comuni dovrebbero farsene carico. Inoltre bisognerebbe sensibilizzare i ragazzi nelle scuole ! C’è troppa ignoranza e poca sensibilità !

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