Poesia… tomba dell’amore?
Carissima Diana, non so se questa mia lettera rientra nell’argomento “Sentimenti” o “Scrittura”. Ma fai tu, se avrai voglia di rispondermi.
Ho un problema che mi turba parecchio. Scrivo poesie. E’ un modo di realizzare la mia interiorità che sento profonda dietro una facciata di ragazza brillante neolaureata in biologia e in attesa del posto prestigioso in azienda.
Tra due mesi mi sposo. Lui è l’amore della mia vita, non principe azzurro bello e impossibile, ma ragazzo semplice e concreto.
Nella sua concretezza, non capisce la mia passione per la poesia. Non l’ha mai capita in tre anni di fidanzamento, ma finora non gli ho mai portato via nulla scrivendo di notte nel momento in cui riesco a svincolare i pensieri dal quotidiano e librarli nel metafisico. O giù di lì.
Lui mi ha già dato un ultimatum: se credi di scrivere di notte non ci penso neppure a sposarti.
Non gli ho detto né sì né no, però mi ha preso l’angoscia di non riuscire a ritagliarmi quello spazio magico che per me è vitale, lo è per il mio equilibrio psicofisico.
Che cosa devo fare?
Sally T.
Carissima Sally, posso capirti. Scrivere a volte fa talmente parte di noi, ci è talmente connaturato che diventa prezioso come l’ossigeno, e privarcene sarebbe rischioso per la nostra salute. Come dici tu: per il nostro equilibrio psicofisico.
E più si va avanti a praticarla, la scrittura, più si diventa "dipendenti". Ognuno ha dentro di sé un motivo (o più di uno) personale per cui scrive, e su ognuno di noi la scrittura ha effetti diversi, così come una terapia esplica effetti soggettivi a seconda del paziente.
Ti parlo di me: un tempo, pur avendo dentro di me tracciato il cammino di una che "da grande avrebbe voluto scrivere" (non ho mai ammesso di voler fare la scrittrice: condizione troppo "fuori dalla mia realtà"; dire di voler fare la scrittrice sarebbe sembrata la velleità di una sognatrice, così mi ridimensionavo accontentandomi di dire che avrei voluto "fare la giornalista"), non mi rendevo conto che la scrittura, una volta che l’hai provata, è una "divinità" (qualcuno ha detto un mostro, ma non mi piace darle connotazioni negative) che finisce per possederti.
E così per anni mi sono limitata a una professione d’intenti, finché non mi è capitato di iniziare a scrivere sul serio. Da allora non potrei pensare a una mia giornata trascorsa senza scrivere. Qualsiasi cosa: un articolo, una nota, un promemoria, una lettera. E se qualcuno m’impedisse di farlo non so come reagirei.
Quando poi sono immersa in un nuovo libro, a maggior ragione nessuno potrebbe riportarmi indietro e impedirmi di seguire la via tortuosa ma appassionante che ho intrapreso.
Così funziona, per me. Ma io mi occupo di narrativa. Non so se la poesia sia la stessa cosa, non so se a sua volta ti possieda a tal punto da non poterne fare a meno. Ma, da quello che mi dici, forse è così.
Difficile, cara Sally, darti un consiglio. Non so altro di te e del tuo futuro marito. Ma se lui ti ama dovrebbe lasciarti un tuo spazio (vitale) in cui poter coltivare senza angosce e sensi di colpa la tua passione.
Che poi tu possa farlo di notte o in altri momenti della giornata, questo spetterà a te, a voi, stabilirlo.
Guarda, anch’io dicevo che riuscivo a scrivere solo in certi momenti, dalle alle, ma poi, trovandomi nell’impossibilità pratica di rispettare le mie esigenze, ho provato a cambiare orari e metodi. E ho visto che funziona lo stesso.
E’ brutto definire il matrimonio un compromesso, però spesso è così: così come tu arriverai a fargli delle concessioni, lui dovrà farle a te.
E così… vivrete a lungo felici e contenti. In un mondo pieno di poesia…
Auguri!
Diana