Incipit “Paco. Diario di un cane felice”
1. La Grande Ispirazione (nasce tutto da qui)
“Diablo ha bisogno di compagnia”. La Grande Ispirazione mi venne una gelida sera di febbraio, mentre me ne stavo al calduccio sotto le coperte, immersa nel tepore della lettura di un libro, in attesa dell’ora del sonno.
Stavo leggendo, mi pare, un romanzo di Pennac, una di quelle storie così profonde che t’impegnano così tanto il cervello da lasciarti il tempo di pensare a milletrecentoventisei altre cose. Una più, una meno. E’ uno dei miei autori preferiti, Pennac, e non tanto per quello che scrive (delle emerite baggianate, a pensarci bene), quanto per come lo scrive, con quel suo stile guizzante e sfrigolante, che fa scoppiettare i verbi accanto ai sostantivi, accendendo la miccia degli aggettivi per fare un gran botto finale con gli avverbi. E’ puro stile e poco contenuto, e per questo è la lettura ideale in certe occasioni. Quando, ad esempio, devi concentrarti intorno a una decisione importante come quella che stavo per prendere: allargare la famiglia.
Mentre leggevo, avevo già fatto mentalmente il resoconto della giornata che sgocciolava lentamente verso la fine, avevo già elaborato il piano di battaglia lavorativo per il giorno dopo, avevo messo insieme qualche scampolo di conversazione con Gianni, negli attimi in cui, anche lui in attesa dell’oblio del sonno, emergeva dai flutti di un’aspra navigazione sotto le coperte, in mezzo a un mare forza nove, con ondate poderose che gli si rovesciavano addosso, abbattendosi come il maglio di un gigante sulle fiancate della barca che da almeno mezz’ora si dibatteva sconquassata da una delle tempeste oceaniche più terrificanti in cui fosse mai incappato nella sua gloriosa carriera di lettore di avventure marine.
“Che cosa vuoi dire con: Diablo ha bisogno di compagnia?” mi chiese, spalancando la bocca e chiudendo gli occhi, in un educato ma invincibile sbadiglio. Era un po’ spazientito: l’avevo costretto a distogliere l’attenzione da una navigazione pericolosa, che richiedeva concentrazione massima. Ma tutto sommato la mia interruzione gli consentiva di riprendere fiato tra un’ondata e l’altra. Si passò una mano sul viso per asciugarsi l’acqua salata che gli incrostava virtualmente le sopracciglia. Sembrava stremato.
Lo guardai stupita: era così immerso e immedesimato nel romanzo di Sam Llewellyn, che quasi gli vedevo spuntare sul viso la barba lunga e incolta di sette giorni di navigazione dura tra le correnti implacabili di Capo Horn. Altro che cibernetica, con tutti quegli orpelli tecnologici, caschi, guanti, eccetera, che ti consentirebbero di essere proiettato in mondi sconosciuti e avventure mirabolanti. Gianni, da solo, riesce a entrare in modo assolutamente realistico nelle avventure altrui, e senza nessun bisogno di sofisticati ausili tecnologici: gli bastano un buon libro, la sua fervidissima immaginazione, un buon letto dove stare comodi comodi, e la sua realtà virtuale se l’è già bell’e costruita da solo.
Non ho mai conosciuto nessuno capace di concentrarsi nella lettura come Gianni, e di escludere tutto il mondo fuori da quelle pagine di libro. Ho sempre pensato che la sua capacità di estraniarsi dalla realtà concreta, librandosi sulle pagine di un libro, abbia dello straordinario. Non c’è verso di riportarlo nel mondo reale, almeno finché non è arrivato alla fine del capitolo. Per fortuna legge con la velocità di un fulmine, così in caso di emergenza i suoi ritorni a terra sono sempre tutto sommato rapidi…
“Vuoi andare tu a fargli compagnia nella cuccia? Credi di potertici sdraiare comoda comoda? O pensi forse che dovrei andarci io?” mi domandò con un sarcasmo bonario che però a quell’ora trovavo un po’ troppo irritante e fuori luogo. Quella è un’ora in cui quando si parla, se se ne ha ancora la forza, dopo una giornata di corse e rincorse, di affanni e di arrabbiature causati dall’essere i soli al mondo a dover risolvere i problemi del mondo stesso, è un’ora, dicevo, in cui se si ha qualcosa da dire si pretende di essere presi sul serio. Gli scherzi sono rimandati a tempi migliori, o almeno alla mattina dopo.
E dovendo prendermela con qualcuno, decisi di non prendermela proprio con Gianni; a quell’ora non era salutare iniziare una discussione con lui. Me la presi invece con il libro che tenevo tra le mani e così lo chiusi sgarbatamente giusto in faccia al signor Malaussène, proprio mentre era intento a lanciarsi in una delle sue argute conversazioni con la regina Sabo. E così ancora una volta il povero Malaussène finì per pagare per colpe che non aveva.
“Ho detto quello che hai capito benissimo, è inutile che tu faccia il finto tonto”, rincarai, cercando però di mantenere un tono il più soave possibile. “Diablo è troppo solo: da quando Duca non c’è più, gli sono venute le manie, non è più lo stesso. Hai visto che passa la giornata attaccato allo zerbino dove si sdraiava Duca e non si sposta da lì neanche a prenderlo a cannonate? Ti sembrerà mica una cosa normale?” lo incalzai.
La conversazione si stava facendo impegnativa. Non c’era modo di sottrarsi al fuoco delle mie domande.
Gianni interruppe definitivamente la navigazione, strappandosi alla lettura che da sette sere ogni sera lo teneva, avvinto come un naufrago a una tavola di legno sballottata in mezzo all’oceano in tempesta.”Lo so, poverino, fa pena anche a me”, convenne con fare accomodante. “E poi hai visto che passa delle ore a leccarsi una zampa? Certe volte sembra che voglia mordersi. Se va avanti così, finisce che si buca la pelle.”
“Lo so”, gli risposi preoccupata. “Il dottore dice che non ha niente di fisiologico: è un’altra mania che gli è venuta per il fatto di essere rimasto solo. Ha bisogno di distrarsi…”
“Starai mica pensando di trovargli un’amichetta?” mi stuzzicò Gianni. “Ma no, ma no, per carità, non voglio cacciarmi nei guai. Sto piuttosto pensando a un amico…”
“E come penseresti di fare?”
“Incomincerò a leggere gli annunci sui giornali. Potrebbe esserci qualcosa che fa al caso nostro, anzi suo, no, anzi, anche nostro. Tutto sommato è una decisione da non prendere alla leggera; coinvolge anche e soprattutto noi. Dopotutto si tratta di allargare la famiglia!”
E così, con questa conversazione in apparenza demenziale, tra lo strampalato e l’allucinato, e che molti giudicheranno perlomeno surreale, prese il via tutta la storia.
La storia di Gianni, di me, e di Paco.
Era l’inizio di febbraio di otto anni fa.