Lettera aperta a George Clooney e a Matteo (Renzi…)
In questi giorni si stanno contendendo le prime pagine dei giornali e i servizi principali su tutte le tv. Sto parlando di Matteo Renzi e George Clooney.
Uno è un tipo che recita sempre, anche fuori dal set, scherza e gigioneggia, e quando parla non capisci se sta seguendo un copione o dice del suo, e a forza di recitare probabilmente lui stesso non distingue più la realtà dalla finzione… e l’altro è uno dei più acclamati attori di Hollywood.
Francamente, non ho ancora capito chi dei due recita meglio.
Ma è del secondo, l’attore vero, che vorrei occuparmi. Premetto che ho trovato sempre piuttosto eccessiva l’immagine di sex symbol (?) che gli hanno appioppato, e tutto questo gran fascino che gli attribuiscono mi pare più inventato che vero.
È uno dei classici prodotti confezionati a tavolino: le physique du rôle ce l’ha, e quindi gli esperti d’immagine e di marketing hanno avuto gioco facile a farne un personaggio famoso in tutto il mondo, spacciandolo per gran seduttore (?).
L’altro invece, poveretto, per tanto che si arrabatti il fisico non ce l’ha, e nemmeno la faccia, e in quanto a fascino… se ne trova di più in un cecio lessato, in una fetta di pane toscano intinta nella ribollita.
Eppure lui ci crede, crede davvero di essere capace di conquistare le folle con il suo fascino e il suo eloquio ridondante di verbi all’infinito (quanto è infinita la sua ambizione…) Il fatto è che la sua preparazione è a livello di scuola di recitazione della parrocchia (facile che l’abbia frequentata quando era democristiano e probabilmente faceva il chierichetto, immaginandosi un giorno grande attore. Poi, accorgendosi di non avere la stoffa, che abbia smesso di calcare il palcoscenico, accontentandosi del palco dei comizi…) “L’uomo delle banche vestito da simpaticone”, l’ha definito Matteo Salvini, segretario della Lega Nord.
Ma lasciamo perdere Matteo (avete notato? Gli sono bastati pochi giorni per entrare in tale confidenza con noi italiani da sentirci in diritto di chiamarlo solo per nome) e veniamo a George.
Oltre a imperversare in lungo e in largo in ogni trasmissione tv per presentare il suo ultimo film, il divo di Hollywood sta rilasciando un sacco di interviste, dove disserta sui massimi (e sui minimi) sistemi e ci delizia coi suoi personali e profondi punti di vista sulla vita.
In una di queste interviste, alla domanda del giornalista “Che cosa l’attrae dell’Italia?”, il bel George risponde: «Quello che mi piace dell’Italia è che riesco a sentirmi molto libero. Gli italiani hanno molta gioia di vivere e una visione particolare del mondo. Difficile vederli preoccupati, a parte quando perde la loro squadra di calcio.»
Benvenuto, benvenuto signor Clooney, alla fiera dei luoghi comuni, dove si vedono girare tanti imbecilli che parlano solo perché Dio ne ha dato facoltà a tutti, senza distinzioni.
Eh, già: un bel “pizza, spaghetti e mandolino” non si nega a nessuno, quando si parla di italiani.
Italiani sempre allegri, sempre in festa, incapaci geneticamente e geograficamente (siamo o non siamo il paese d’ ‘o sole?) di preoccuparsi, con quei sorrisi stampati in faccia che rimangono anche durante il sonno. O addirittura da morti: di certo devono aver mantenuto il loro sorriso tutto italiano gli imprenditori che negli ultimi due anni si sono fatti fuori per disperazione, per colpa di uno stato predone (e ora anche assassino).
Di certo hanno continuato a ridere. Anche da morti. E se non l’hanno fatto, se hanno smesso di ridere, allora la verità (diversamente da quanto hanno voluto farci credere) è che quei poveracci si sono suicidati perché la loro squadra del cuore aveva perso il derby. Altro che problemi di lavoro, altro che debiti con le banche strozzine, altro che bilanci in rosso, altro che fallimenti, liquidazioni, licenziamenti.
Siamo davvero un bel popolo, noi italiani. Vero signor Clooney? Sì, davvero bello e bravo, se permettiamo agli arroganti come lei di venire qua ad atteggiarsi a gran personaggio, autorizzato a trinciare sul nostro popolo (un popolo che ha una storia che parte da molto più lontano del suo) giudizi di una stupidità e un’insolenza da cui traspare una mentalità ristretta come solo chi si sente chissà chi e non sa confrontarsi con gli altri può avere.
Eppure continuano a idolatrarlo, nessuno che gli dica quello che gli spetta, complice una classe di giornalisti sempre proni e pronti a lasciarsi strapazzare e calpestare, scodinzolando, dal personaggio pubblico (attore o politico) che in quel momento va di moda.
Del resto stiamo parlando della stessa classe di giornalisti che due anni fa ricoprì di gloria Mario Monti (che era diventato Supermario, vi ricordate?) presentandocelo come il salvatore della patria, salvo di lì a poco gettarlo nell’immondezzaio (dove speriamo si trovi bene da restarci qualche decennio ancora… magari riesce a mettere in piedi qualche banca d’affari con topi di fogna e pantegane…)
E parliamo della stessa classe che mesi fa, voltate le spalle a Supermario, mise sugli altari Enrico Letta, spacciandocelo come l’unico capace di toglierci dalle peste dove Supermario e i suoi amici della Banca Bassotti ci avevano trascinati. Salvo, pochi giorni fa, voltare le spalle pure a quello (ritornato di colpo l’incapace che forse è) per scodinzolare dietro a Matteo (Renzi). Oggi in odore di santità, prossimamente su questi schermi santo.
E magari, se ben istruito, capace anche di prendersi un Oscar come miglior attore protagonista del film “L’uomo che infinocchiava gli italiani” (coproduzione francotedesca, regia di Angela Merkel, sceneggiatura di Giorgio Napolitano, musiche di De Benedetti, effetti speciali di Barak Obama).
N.B. Questo è uno dei 160 articoli contenuti nel nuovo libro Antivirus. Emergere dall’emergenza di Diana Lanciotti – Paco Editore.