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Quando la pace non è gradita la guerra diventa infinita

“Superata la linea rossa”: quando ho sentito pronunciare la fatidica frase ho capito che, con la vicenda di Bucha, è arrivata la svolta che molti volevano e molti temevano.
«Ce l’hanno fatta. Ormai il Rubicone è passato e non si torna più indietro», ha dichiarato una persona che di guerre se ne intende e da tempo aveva ben disegnata in testa la trama di questo dramma. Una fiction che diventa reality per sfociare nella tragedia.
La prima guerra mediatica, che si svolge, a quanto ne sappiamo, solo come e dove ce la raccontano. E non c’è modo di sapere qualcosa di più e qualcosa di diverso perché, in barba alla tanto millantata libertà di stampa, vengono diffuse solo le notizie che rientrano nella narrazione ufficiale. Quella che porta acqua al mulino dei fautori dell’“armiamoci e partite”. E guai, guai a chi osa allontanarsi dai binari anche di pochi passi. Viene subito rimesso in carreggiata o buttato giù dal treno con ignominia.
È successo al professor Orsini, stimato docente universitario che, per aver osato dissentire dall’informazione somministrata secondo una ferrea posologia, di colpo è diventato persona non gradita e additata al pubblico ludibrio peggio di un criminale. È successo a Freccero, a Fusaro, a Cacciari, a Santoro, tutti miti della sinistra ora frettolosamente scaricati dalla sinistra stessa in quanto pericolosi liberi pensatori. E si sa che chi è dedito al libero pensiero disturba il conducente della carrozza.
Da giorni la guerra sembrava, è brutto dirlo lo so, a un punto morto. Impantanata nelle paludi di trattative più apparenti che vere, con l’opinione pubblica che dava chiari segni di cedimento dall’interesse ossessivo per questo conflitto (e non si capisce bene perché solo per questo e non per quello che l’ha originato, nel Donbass, 8 anni fa e ha causato 14.000 vittime; oppure quello in Siria, che dura da 11 anni e ha fatto almeno mezzo milione di morti, compresi donne e bambini); con un Governo che stava scricchiolando (almeno apparentemente) sulle spese militari, che qualcuno trova fuori luogo nei tempi di vacche magre che stiamo vivendo e di vacche scheletriche che si stanno prospettando; con i tg che, oltre alla cronaca minuto per minuto della guerra, iniziavano a infilare anche qualche altra notizia, distogliendo un’attenzione che si vuole tutta concentrata lì, su quel conflitto che dovrebbe far invocare a tutti la pace anziché solleticare la voglia di vendetta e rivincita.

La situazione era questa: fluida, sfumata, pericolosamente avviata verso una pluridirezionalità degli attori in gioco.
Ma ecco che due giorni fa tutto è rientrato nei ranghi, con le immagini atroci dei cadaveri disseminati lungo le strade di Bucha tre giorni dopo il ritiro delle truppe russe.
E immediatamente, prima che la notizia venisse anche solo sommariamente verificata (che cioè si tratti davvero di strage da parte russa) è partita la contraerea dell’indignazione e della condanna da parte di politici e giornalisti, unanimemente concordi nel denunciare l’accaduto come crimine di guerra da ascrivere senza ombra di dubbio alle truppe russe e convincersi e convincerci che mandare armi, altre armi, e comminare sanzioni, altre sanzioni, sia la cosa giusta da fare.
Sembrerebbe la notizia tanto attesa, col fiato in gola, che ora fa intonare un canto di liberazione. Finalmente… finalmente ci sono le prove della barbarie russa.
Già, ma ci sono davvero le prove? E dove sono? Certo, i morti ci sono. Ed è terribile. Ma chi sono? Chi li ha VERAMENTE uccisi? E come mai dopo 4 giorni dal ritiro dei Russi stavano ancora lì? E come mai non sono stati assaliti da animali selvatici: cani, corvi, volpi, topi (scusate l’orribile immagine che questa domanda suscita, ma se non ce le facciamo, le domande, non possiamo pretendere di darci delle risposte)? E come mai i cadaveri sembrano disposti ordinatamente, da obbligare le camionette degli Ucraini a un vero e proprio slalom per procedere? Perché i Russi avrebbero legato persone sparse in giro per poi ammazzarle? Perché avrebbero ucciso persone disarmate, a piedi, in bicicletta? Perché, sapendo di avere gli occhi del mondo puntati addosso, avrebbero compiuto un eccidio tanto orrendo e lasciato lì le prove, alla luce del sole? Perché nessuno ha rimosso i corpi o li ha coperti pietosamente? Chi erano quelle persone?  Perché il sindaco di Bucha il 31 marzo mandava in rete un video in cui con aria soddisfatta e serena dichiarava il ritiro dei Russi, e non menzionava la carneficina?
Sono tante le domande da farsi. Tante le incongruenze di un racconto che ci arriva solo da una parte senza che siano state condotte le doverose verifiche. Serve realismo, non illusionismo.
Il principio della prudenza dovrebbe valere tanto in medicina quanto in guerra. Ma per due anni abbiamo avuto abbondanti esempi di come sia stato disatteso e vilipeso.
Non puoi fartele, le domande, pena sentirti bollare come “filoPutin” da chi ha il vizietto di appiccicare bollini a chi non la pensa come lui. O sentirsi definire “neneisti” (cioè quelli che non stanno né con i Russi né con gli Ucraini) da chi non accetta che si possa restare neutrali e non schierarsi come tanti tifosi allo stadio.

È capitata a fagiolo, questa strage. E ha fatto il miracolo di ricompattare la UE, in realtà unita solo dalla sigla. Questa strana unione dalla mille facce che, esaurita la sbornia di proclami antirussi e di anatemi contro Putin, pareva come spesso accade procedere in ordine sparso: chi voleva le sanzioni, tante e terribili, e chi pensava di fare uno sconto, una specie di offerta convenienza, per non restare senza il preziosissimo gas russo. Vabbè che è primavera, ma il gas mica lo usiamo solo d’inverno, si dev’essere detto qualcuno che evidentemente non vive sulle nuvole come i tanti guerrafondai da salotto che dissertano di guerra come del derby Roma-Lazio.
Ma davanti alle immagini crude, strazianti, di Bucha, l’Europa tutta si è magicamente ricomposta e ora chiede di nuovo a gran voce sanzioni ancora più dure verso la Russia. Per metterla in ginocchio.
E chi, come la Germania che dipende dal gas russo al pari di un neonato dal latte della mamma, aveva pensato di andarci un po’ più soft, davanti alle strade disseminate di cadaveri non può evitare un’inorridita adesione alle misure più drastiche che si può. Pena sentirsi accusare di essere amico del tiranno.
Stanno premendo sull’acceleratore mettendoci praticamente davanti alla scelta: accettare “crimini di guerra” o “qualche piccolo sacrificio”?

Per capire la nuova svolta, l’accelerazione impressa dalle immagini di Bucha, è bastato guardare i talk show che, a poche ore dalla circolazione del video delle auto ucraine che si facevano largo in mezzo ai cadaveri, erano già bell’apparecchiati per scodellare ai telespettatori la “strage russa” e dimostrare ai pochi renitenti (quelli che ancora pensano che le colpe non stiano solo da una parte) che no, sono solo i Russi i cattivi e feroci e che facciamo bene ad armare l’Ucraina per… riportare la pace. Che poi all’Ucraina abbiamo mandato armi vecchie, liberando gli scantinati come si fa con le pulizie di primavera, poco importa. L’importante è essere solidali con Zelensky, che da giorni saltabecca da un parlamento a uno show invocando aiuti con la disinvoltura di un attore consumato. Ah, già: ma lui è un attore. Proprio ieri sera è partita in Italia la serie tv che l’ha consacrato eroe agli occhi e nel cuore del popolo ucraino. Serie che due mesi fa da noi sarebbe stata considerata alla stregua di una “Tempesta d’amore” qualsiasi, ma ora è diventata una rappresentazione da Oscar. A proposito, anche se alla notte degli Oscar Zelensky non c’era, c’era in spirito, perché la sua assenza incombeva pesantemente impedendo all’evento di svolgersi nel clima sereno che l’uscita da una pandemia avrebbe fatto sperare.
L’altra sera, invece, nei talk show incentrati su Bucha Zelensky non c’era. C’erano i morti per strada che parlavano per lui, tirandogli la volata per la successiva roboante chiamata alle armi rivolta all’Europa. Un’Europa fremente di sdegno e orrore.

Ora tutte le trasmissioni sembrano organizzate sullo stesso copione, scritto dallo stesso sceneggiatore che prepara i discorsi di Zelensky.
Prima ti fanno vedere le immagini, scusandosi per la crudezza, poi inizia il bombardamento da parte degli ospiti, in una gara a chi ne dice di più cattive contro i Russi e a chi invoca le misure più dure, a costo di sacrifici “indispensabili” se si vuole salvare la democrazia (facile parlare di sacrifici standosene seduti e remunerati in uno studio tv, magari a lanciare il nuovo libro in uscita in libreria).
Così è successo due sere fa a Controcorrente, dove era chiara l’impostazione che si voleva dare alla trasmissione: condannare senza se e senza ma l’eccidio per mano russa. Però l’ingranaggio si è quasi subito inceppato quando, prima di dare la parola agli ospiti (i giornalisti Piero Sansonetti e Daniele Capezzone), la conduttrice ha chiesto a Fausto Biloslavo, inviato in Ucraina, un parere sui gravi crimini di guerra compiuti dai russi a Bucha.
La risposta di Biloslavo “Io ci andrei cauto” e il richiamo a presunti massacri di passate guerre, poi rivelatisi menzogne, e alla propaganda di guerra che va sempre soppesata prima di essere divulgata, hanno gelato il clima frizzantino che si era creato in studio. Immediati da parte di Sansonetti i complimenti a Biloslavo. Un uomo che sta rischiando tanto, dall’espulsione all’eliminazione, eppure con coraggio racconta ciò che sa e che vede, non quello che gli dicono di dire. C’è da congratularsi con lui per la professionalità, merce rarissima, che dovrebbe essere d’esempio per politici e giornalisti che si sono affrettati a esprimere indignazione su una vicenda tutta da chiarire.
Come invece e purtroppo ha fatto Capezzone, che già dal pomeriggio su twitter affilava i coltelli:

Dopo #Bucha, suggerirei a chi ha finora difeso (secondo me sbagliando, ma era ed è totalmente legittimo farlo) le ragioni di Putin, di sospendere l’uso dei “ma” (“…ma la Nato”, “…ma le armi”, “…ma Zelensky”, ecc). Le sistematiche atrocità sui civili non ammettono “ma”.

Ma dopo l’invito di Biloslavo alla cautela, la filippica contro il despota russo e tutti coloro che a suo avviso sono filoputin solo perché non abbracciano la fede atlantista dev’essergli rimasta a mezza gola. Così, messosi a pari con Sansonetti sperticandosi in congratulazioni al collega in Ucraina, con un abile giro di parole Capezzone ha (non so se scientemente o involontariamente) insinuato dubbi sulla sua lucidità, ricordando che, stando sul fronte di guerra, da giorni non dorme. Per poi aggiungere: «Ma se fosse vera la metà della metà della metà della metà di quello che abbiamo visto… sarebbe difficile dire “ma la Nato”…»
Ennò, caro Capezzone. La stima che ho sempre nutrito per lei non mi esime dal farle notare che la strage da parte russa o c’è tutta o non c’è del tutto. Non è che i Russi abbiano ucciso uno sì e uno noi di quei cadaveri disseminati lungo la strada. Chiediamoci, piuttosto, come si sono chiesti ancora ieri Fausto Biloslavo e Toni Capuozzo, ospiti di Quarta Repubblica, se non sia il caso di avviare un’indagine seria e neutrale, prima di precipitarsi a chiedere la testa di Putin e ulteriori sanzioni che alla fine penalizzerebbero noi. O, peggio, sull’onda dello sdegno, dell’orrore e dell’isteria, oltrepassare il punto di non ritorno di una guerra che rischia di diventare davvero mondiale.
Come dice Capuozzo:

“Guai a non porsi delle domande. A me non convince la sequenza dei tempi riguardo a Bucha. È mai possibile che nessuno abbia messo un lenzuolo pietoso sui quei morti?… Che il sindaco il 31 durante il video non abbia menzionato i morti? Che nel video girato il 2 aprile non ci fossero i morti, e poi siano spuntati il 3? Da dove sono spuntati?… Quando uccidi una persona con un colpo alla tempia, si crea una pozza di sangue. Avete visto pozze di sangue?”

«Se cerchiamo di ricostruire la scena non si trova la logica», rincara il militare che citavo all’inizio. Parliamo di persone, giornalisti e militari, abituate a stare in mezzo alla battaglia, invece che sedute in un salotto tv. Persone che le tattiche e la propaganda bellica le conoscono bene,
Stiamo attenti, attentissimi alla propaganda. Dall’una e dall’altra parte. Anche quella di chi si è divertito a dire che uno dei cadaveri riversi sulla strada avrebbe mosso una mano, mentre bastava guardare il video in buona risoluzione per capire che si trattava di un’illusione ottica dovuta al parabrezza sporco dell’auto da cui stavano filmando la scena. I morti erano morti. Su questo non ci piove e soprattutto non si scherza.
La propaganda è pericolosa, perché rischia di compromettere tutto, di catapultarci dritti nel mezzo di una guerra mondiale. E allora le anime belle che invocano più armi e più sanzioni, anziché la pace, forse si renderanno conto che con la guerra non si scherza. Una guerra che non è e soprattutto non sarà, se si continuerà a fomentarla, come quelle che abbiamo studiato a scuola. Viviamo tempi dove gli armamenti hanno purtroppo fatto passi da gigante e la retorica dell’eroismo fa solo morti. Illusione e morte.

La guerra è sempre un affare sporco. E spesso è davvero un affare. Ci sono paesi per cui le guerre rientrano nella strategia geopolitica. È il caso degli Stati Uniti, per i quali il ricorso alle armi è parte del DNA nazionale.
Le prove, oltre a quelle che tutti conosciamo, sono in un video del 2015 in cui un funzionario del Dipartimento della difesa chiarisce candidamente che gli USA fomentano le guerre in casa altrui per stare tranquilli in casa propria. Cose che si sanno, a meno che non si ami essere occupati militarmente, politicamente, economicamente da una potenza straniera, come succede di fatto in Italia dal 1945.
Ecco il video:
https://www.youtube.com/watch?v=aYgmhO9QJFc

Avete visto? Cinismo allo stato puro. Una cosa da far venire i brividi. E quando mi parlano di “valori occidentali”, di “atlantismo”, be’… confesso la mia fatica a fare miei questi “valori”.

Concludo con le parole tratte dalla pagina Facebook di Toni Capuozzo. La differenza tra giornalismo e illusionismo: un invito alla riflessione e a lasciare aperta la porta al dubbio, per non diventare prigionieri dei propri pregiudizi ed evitare che il seme dell’odio attecchisca dentro di noi.

La prima domanda che mi sono fatto è: pensi che sia impossibile che i russi, ritirandosi, abbiano fatto, per vendetta e odio, una strage di civili ? Non lo ritengo impossibile, ho visto troppe volte che la guerra porta a dare il peggio di sé. La seconda domanda è stata: pensi che sia impossibile che gli ucraini, aggrediti, bisognosi di aiuto, ansiosi di coinvolgere la comunità internazionale, abbiano “costruito” la scena ? Ho una lunga esperienza, dal Kossovo al Libano, da Betlemme a Belgrado, di situazioni forzate, modificate, usate: in guerra ogni mezzo è buono. In più, in questo caso, ci sono i precedenti della ragazza di Mariupol (diceva la verità allora, o la dice adesso ?), il mistero del teatro di Mariupol, i numeri che vengono forniti dalle Nazioni Unite e dagli ucraini su vittime civili e perdite militari russe (sarebbero morti 400 militari russi per ogni civile ucciso….). Il mestiere del giornalista è farsi domande, anche quelle scomode. E allora mi ha sorpreso una sequenza di date:
– il 30 marzo le truppe di Putin abbandonano Bucha
– il 31 marzo il sindaco, davanti al municipio, rilascia una dichiarazione orgogliosa, sul giorno storico della liberazione. Non parla di vittime per le strade.
-il 31 marzo Maxar Technologies pubblica le foto satellitari che rivelano l’esistenza di fosse comuni attorno alla chiesa. È una scoperta che poteva essere fatta a terra: è la fossa che pietosamente gli abitanti del posto hanno iniziato a scavare il 10 marzo per seppellirvi i propri morti nella battaglia – siamo poco lontani dall’aeroporto di Hostomel- in cui nessuno avrebbe fatto distinzioni tra civili e militari.
Il 1 aprile va in onda a Ukraine TV24 l’intervista al sindaco. Non è accompagnata da alcun commento su morti per strada.
Il 1 aprile un neonazi che si fa chiamare Botsman posta su Telegram immagini di Bucha. Dice solo di aver trovato un parlamentare, in città, non parla di morti. Ma lo si sente rispondere a una domanda: “Che facciamo con chi non ha il bracciale blu’?” “Sparate”, risponde.
Il 2 aprile la Polizia ucraina gira un lungo filmato sul pattugliamento delle strade di Bucha (che non è enorme: 28mila abitanti). Si vede un solo morto, un militare russo, ai bordi della strada. Nel filmato, lungo 8 minuti ci sono abitanti che escono dalle case, e passanti che si fermano a parlare con la polizia. Lieti di essere stati liberati, ma nessuno parla di morti per strada. La cosa peggiore è quando uno racconta di donne costrette a scendere in una cantina, e uomini prelevati per essere interrogati.
Il 3 aprile il neonazi su Telegram incomincia a postare le foto dei morti. A tre giorni pieni dalla Liberazione.
Il 4 aprile, ieri, il New York Times pubblica una foto satellitare che riprende i morti per strada, spiegando che è stata scattata il 19 marzo (quindi i corpi sarebbero per strada da quasi due settimane, sembrano le armi chimiche di Saddam).
Va da sé che onestà e indipendenza (che poi uno scambi l’indipendenza come dipendenza da Mosca mi fa solo ridere amaramente) impongono domande. Com’è che gli abitanti di Bucha che, sotto la dura occupazione russa, seppellivano i propri morti, questi invece, pur liberi, li lasciano sulle strade? Com’è che attorno ai morti non c’è quasi mai del sangue? Se una vittima viene sparata alla tempia, è una pozza, finché il cuore batte. Se gli spari che è già morto, niente sangue. Com’è che in una cittadina piccola e in guerra, dove nessuno presumibilmente si allontana da casa, nessuno ha un gesto di pietà, per tre giorni, neanche uno straccio a coprire l’oscenità della morte ? Erano morti nostri o altrui? Se uno vuole credere, se cioè è questione di fede, anche l’osservazione che i morti, per bassa che sia la temperatura non si conservano così, è inutile. Morti pronti per il camera car che è una gimkana tra i corpi. Una volta tirai un sasso a un randagio, io che amo gli animali, perché si stava cibando del corpo di un terrorista, e non era in una città affamata.
Purtroppo mi interessano poco le testimonianze de relato – “mi hanno raccontato che”- o i servizi che aggiungono alla scena solo rabbia e indignazione, e pietà all’ingrosso. Ricordo ancora a Gerusalemme il responsabile della sede RAI scrivere una mail privata ai dirigenti palestinesi attorno alle immagini di un linciaggio a Ramallah: “La Rai non avrebbe mai mandato in onda immagini che vi danneggino”. I gonzi pubblicarono la mail di solidarietà sui giornali. Né mi turbano le accuse dei tifosi, dei trombettieri e dei tamburini. Senza insulti sono disposto a discutere con chiunque, e so che quelle persone, chiunque fossero, in qualunque circostanza fossero state uccise, a qualunque scopo venissero esibite (i russi per terrorizzare, gli ucraini per emozionare il mondo) sono morte nel modo peggiore, e meritano pietà e giustizia, non propaganda
Resta l’orrore, e la speranza che commissioni severe indaghino e la facciano pagare ai responsabili. Se sono russi, irraggiungibili, resteranno nell’album delle infamie. Se qualche ucraino ha abbellito o costruito la cosa, è giusto almeno porsi un altro paio di domande scomode.
Come fai a non mandare armi a un popolo così martoriato, come fai a non reagire all’orrore?
Come fai a convincere l’opinione pubblica mondiale che bisogna mandare altre armi e puntare a punire l’invasore, non a negoziarne il ritiro? Come si giustifica un’escalation?
In poche parole: a chi giova? Ma, attenzione, anche rispondere a questa domanda non dà alcuna certezza. Perché la guerra è calcolo, ma ancora di più follia e stupida ferocia.

Voglio vedere se qualcuno, ora, darà del filoPutin anche a Capuozzo. O se, invece di limitarsi allo sdegno e all’orrore e chiedere l’invio di altre armi per prolungare la guerra, non ci si decida ad armarsi DAVVERO di buona volontà e cercare la PACE. Vera, non a parole.

Diana Lanciotti

P.S. A proposito di propaganda, il fotogiornalista Giorgio Bianchi, anziché accontentarsi delle notizie diffuse dai principali media, ha incontrato Marianna, la mamma fotografata davanti all’ospedale di Mariupol, data per rapita dai Russi dalle principali testate italiane.

La prima guerra mediatica della Storia

 

 

 

 

 

 

 

 

 

4 commenti

  • Luisa

    Diana cara, è sempre un piacere leggerti e ogni volta riesci a toccare il cuore ma anche a stimolare la mente a ragionare e uscire dalla banalità del pensiero ufficiale. Ci vorrebbero persone come te a prendere decisioni. Come il gen. Bertolini che anche stasera in tv ha mostrato coraggio e chiarezza di idee. Purtroppo siamo nelle mani di irresponsabili che se non li fermiamo ci porteranno alla rovina.
    Continua a scrivere per farci sentire meno soli e darci la speranza che non tutti sono impazziti o rinc….i.
    Un abbraccio

    Luisa

  • Giovanna

    Cara Diana, ti ho già scritto: sono figlia di un’ucraina e un russo e solo in te e pochi altri giornalisti trovo il buon senso che tutti sembrano aver perso.
    Hai ragione quando dici che la propaganda e la retorica fanno solo morti.
    Possibile che nessuno pensi a cosa sarebbe una guerra mondiale? È inaccettabile ma tanti sembrano aver accettato l’idea.
    Sono preoccupata e spero che il buon senso contenuto nei tuoi articoli prenda le vie del mondo.
    Io lo diffondo come posso.
    Un forte abbraccio

    Giovanna

  • Luigi V.

    Gentile signora Diana, quando scrive “Stanno premendo sull’acceleratore mettendoci praticamente davanti alla scelta: accettare “crimini di guerra” o “qualche piccolo sacrificio”?” descrive perfettamente il progetto che questi criminali stanno portando avanti sulla pelle dei popoli. Popoli che fosse per loro si amerebero, rispetterebbero e aiuterebbero ma che i governanti folli vogliono mettere uno contro l’altro. Una follia.
    Purtroppo la Chiesa sconta le colpe passate che le hanno sottratto potere e credibilità, così non vedo chi potrebbe avere un ruolo di paciere in questa guerra che nessuno vuole far finire. Di set cinematografici come quello di Bucha per spingere ancora di più su decisioni insensate ne stanno preparando altri, mi creda.
    Con stima

    Luigi V.

  • Maria V. Martellini

    Carissima Diana,non avrei mai pensato che, dopo fiumi di menzogne sul covid, dopo una feroce dittatura con regole liberticide che ancora ci opprimono e devastano, saremmo passati ad ascoltare deliranti inviti a sostenere e partecipare attivamente a una guerra.
    Quelli che ci governano e chi li sostiene in parlamento (reso inutile da continui decreti governativi) sono irresponsabili burattini agli ordini di élite criminali che vogliono un nuovo ordine mondiale ben codificato a Davos.
    E la Nato, braccio armato degli USA, vuole coinvolgere l’Europa direttamente in una guerra che giova solo a chi oggi governa negli Usa.
    Nessuno di questi nostri affaristi senza scrupoli si domanda quali siano i veri problemi degli italiani, senza lavoro, senza prospettive, senza più i loro diritti sanciti dalla costituzione,addirittura scavalcati da profughi incolpevoli, ma ingombranti…
    Trovano soldi subito per le armi, per ricostruire teatri in terre straniere, ma si dimenticano dei poveri terremotati che da cinque anni aspettano di vedere rimosse le macerie del sisma.
    Il governo del migliori preferisce far languire in miseria migliaia di piccolissime, piccole e medie imprese (Draghi la chiama la decrescita felice…) e poi seguitiamo a fare debito per… prepararci alla guerra???
    Ma sono dei folli, e noi li rifiutiamo e siamo stanchi di subire gli affronti di un mainstream, di talk e altri spettacoli in tv che sollecitano milione di spettatori a identificare il mostro, il nuovo Hitler (anche se ultimamente gli squadroni della morte di ideologie nazista sono diventati eroi della resistenza) in una sola persona: Putin e con lui scrittori, artisti, poeti, filosofi e tutti i russi a prescindere.
    Per fortuna abbiamo ancora scrittori, giornalisti, pensatori che non hanno gettato all’ammasso il proprio cervello, come appunto te, Diana carissima,che come sempre, con sensibilità e discernimento, sai ben guidarci in questa infernale realtà che stiamo vivendo con grande preoccupazione.
    Un grande abbraccio.

    Maria Vittoria

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