La favola dell’accoglienza
Da tempo sostengo che il mondo è nelle mani di 4 grandi “poteri”: banche, aziende farmaceutiche, aziende automobilistiche, società petrolifere. La politica e la finanza, e non più il Lavoro, sono al servizio di questi (stra)poteri, e noi “comuni mortali” siamo inermi pedine in questo enorme scacchiere globalizzato. Abbiamo un bell’arrabattarci per far valere i nostri diritti, la nostra stessa vita. Il nostro e il loro sono quasi mondi paralleli, che non s’incontrano mai se non quando “serviamo”: o per votare (quando ancora ci è concesso di poterlo fare), o per pagare (tasse, interessi bancari, ecc.), o per consumare (prodotti che la maggior parte delle volte sono inutili se non addirittura dannosi), o per fare da cavie a nuovi ritrovati chimici spacciati come cure.
Ci propongono modelli di vita che, se solo ci soffermassimo un minuto a riflettere, sono un abominio, sfiorano a volte l’immorale e ci allontanano sempre di più dalla nostra umanità, dall’essere più intimo e spirituale che c’è (o dovrebbe esserci) dentro ognuno di noi.
La felicità è sempre più una chimera e sempre più spesso si cade nel tranello di associarla al “possedere” (cose e persone). Il nostro modello di vita è a volte insostenibile, un obbrobrio. Eppure continuiamo a portare qua altri per condividerlo, attirandoli con il grande inganno dell’accoglienza, che in realtà è condanna a essere per sempre degli emarginati, in terra straniera, sradicati dalla propria terra, dove interessi superiori impongono che si faccia largo a multinazionali che si stanno praticamente comprando l’Africa (v. https://www.lastampa.it/casa-design/2015/03/05/news/land-grabbing-cosi-emiri-e-cinesi-1.35279935).
Con la conseguenza che gli africani che vivono nei nuovi territori di conquista diventano scomodi e inutili, e o li si obbliga a sloggiare o gli si fa credere che qua da noi starebbero meglio.
Eh, infatti, si vede… Per tanto che il boldrinismo politically correct li rivesta con piumini e scarpe marcati, pantaloni alla moda, cellulari di nuova generazione, resteranno sempre dei senza patria, degli “scomodi”, sgraditi ai più, non inseriti nella nostra società dove loro per primi non vogliono, non sanno, non riescono a inserirsi. In ogni caso vittime.
Purtroppo, diciamocelo onestamente: non c’è posto per loro, ma soprattutto questo non è posto per loro.
Non è questione di razzismo. È un dato di fatto. Il loro posto è la loro terra, dove Dio li ha fatti nascere e dove dobbiamo aiutarli a restare in dignità, salute, benessere. È là (e lo dico da sempre, non ora che persino quelli che fino a ieri predicavano l’accoglienza illimitata per ragioni elettorali hanno “rivisto” le loro posizioni), là che dobbiamo aiutarli a star bene, a vivere secondo le loro tradizioni, la loro cultura, mantenendo la loro dignità e la loro sovranità di cittadini del paese in cui sono nati. Dignità e sovranità che, una volta saliti sui barconi che li portano qua da noi, carne da macello di quelli che chiamo gli “aguzzini dell’accoglienza” , vengono buttate a mare. E lo sbocco, se non la morte, è una vita nel degrado. Un essere stipati in qualche posto malsano peggio di animali da macello. Altro che “accoglienza”.
Qui da noi , ammettiamolo, saranno sempre i “negretti” che ti vendono le calze o gli accendini davanti ai centri commerciali, saranno sempre quelli che bivaccano nelle nostre città vestiti di tutto punto, senz’altro fare che navigare sul web col nuovo modello di cellulare. Saranno quelli obbligati a vivere nel degrado, per aver inseguito il sogno di un mondo che non esiste. Saranno sempre quelli che non lavorano e noi manteniamo. Saranno portatori di malattie, con cui convivono tranquillamente ma che da noi seminano morte. Quelli che, seppur poveri, vivono molto meglio dei “nostri” poveri, senza avere l’onere di lavorare e procurarsi di che vivere.
Non siamo ipocriti, non raccontiamoci (e non facciamoci raccontare) favole: non chiamiamola accoglienza. Chiamiamola “mettersi a posto con la coscienza”, in certi casi.
Ma, soprattutto, chiamiamolo “Grande Disegno”, un disegno per noi insondabile, che regola i flussi migratori, alla faccia della dignità umana e della sovranità dei popoli, in questo grande scacchiere in cui, lo ripeto, siamo solo pedine.
Diana Lanciotti