La cupola di Dante Bini per Michelangelo Antonioni e Monica Vitti a Costa Paradiso
Sono ancora tante le “vecchie” glorie di Costa Paradiso, posate o incastrate sul terreno, quando ancora questo posto prometteva di diventare un trionfo della bellezza della natura e di un’architettura capace di valorizzarla anziché deturparla.
Il luogo, che avrebbe dovuto in realtà restare incontaminato (facile dirlo a posteriori, davanti alla cementificazione di alcune zone…), sarebbe almeno potuto diventare un laboratorio creativo dove i migliori architetti potessero sperimentare e mettere in gara il loro concetto di architettura non invasiva, al servizio dell’ambiente.
Purtroppo non è stato così, e lo spirito iniziale si è stemperato (in alcuni casi degradato) nel tempo, tanto che si parla di quei tempi (avendoli vissuti o avendone sentito raccontare) con nostalgia. E tanta malinconia.
Tra queste “vecchie glorie” ci sono tante case dell’architetto Alberto Ponis (che devi sapere che ci sono per scorgerle in mezzo alle rocce) e la famosissima “cupola”, costruita dall’architetto Dante Bini per Michelangelo Antonioni, il regista che da questo posto era rimasto affascinato e volle farne il rifugio per sé e Monica Vitti.
Ora della Cupola resta la splendida sagoma e il rimpianto di quello che poteva essere. Giace lì, dimenticata. Monumento alla gloria mancata.
Forse non tutti sanno che all’estero la cupola di Antonioni è una “celebrità”: numerose riviste di architettura ne parlano e recentemente è stata la protagonista di due lungometraggi girati da registi stranieri, uno dei quali è stato presentato alla Berlinale, il Festival Internazionale del Cinema di Berlino
(v. https://www.milanodesignfilmfestival.com/la-cupola/ e http://www.lanuovasardegna.it/tempo-libero/2016/04/10/news/la-cupola-di-antonioni-in-costa-paradiso-1.13275370).
E la Soprintendenza Belle Arti e Paesaggio per le Province di Sassari e Nuoro l’ha posta sotto vincolo di interesse culturale, per preservarla da non tanto improbabili mire speculative
(v. http://www.michelangeloantonioni.info/2015/11/20/villa-antonioni-a-costa-paradiso/).
Tempo fa ho avuto modo di leggere su internet un pezzo dell’architetto Lucio Fontana, che sta curando una monografia su Dante Bini dove si parlerà della “cupola” di Antonioni. Tramite l’architetto Bini, Fontana mi ha contattata per avere delle foto della cupola.
Così mi sono ricordata di quelle pagine, che allora mi avevano colpita e mi hanno nuovamente colpita ieri quando sono andata a rileggermele.
Quella dell’architetto Fontana, che riporto più sotto, è un’implacabile, ma purtroppo realistica, disamina della situazione attuale di Costa Paradiso. Un posto unico al mondo, in parte devastato dall’ingordigia e dall’ottusità umane.
La Natura, che è il miglior architetto e giardiniere che ci sia, qua ha fatto un lavoro straordinario. Poi è arrivato l’uomo… l’uomo invidioso della grandezza sublime della Natura. E come tutti gli esseri invidiosi, che tendono a declassare l’oggetto della loro invidia anziché cercare di elevarsi fino a raggiungerlo, ha voluto abbassarla al proprio livello, deturpandola, svilendola, umiliandola.
Di situazioni come queste, da recuperare e riportare all’antico splendore, ce ne sono tante. Bisognerebbe demolire le brutture e riqualificare il bello esistente.
Ci vorrebbe un grosso investitore (non speculatore!) lungimirante che capisca la vera essenza del luogo e lo riporti all’idea di partenza. Un posto com’era ai tempi in cui Monica Vitti e Michelangelo Antonioni e dopo di loro Francis Ford Coppola, che vi ambientò parte di Black Stallion, se ne innamorarono perdutamente (qui alcune delle scene di Black Stallion girate nella spiaggia de Li Cossi: https://www.youtube.com/watch?v=h2hlWgQxi0Q). A proposito di Black Stallion: è un film che mi emoziona tuttora, anche dopo averlo visto decine di volte. Le scene girate a Li Cossi mi fanno venire i brividi. E ogni volta che le rivedo mi dico: “Ma se Francis Ford Coppola ha scelto questo posto per girare le scene più belle del suo film significa davvero che è un posto unico al mondo.”
Perciò dobbiamo rispettarlo e difenderlo.Diana Lanciotti
P.S. Va ricordato che la Cupola, che è stata venduta da Antonioni tanti anni fa, è proprietà privata, dotata di recinto antintrusione e videosorveglianza e che la vigilanza preposta al territorio di Costa Paradiso accorre in caso di intrusione.
‘ANANKH si era già occupata nel 1994 di Michelangelo Antonioni (1). In un breve saggio, scritto in occasione dei trentennale dell’uscita de Il deserto rosso, la rivista intendeva porre l’attenzione sulla trasformazione della città, Ravenna, che il regista avevo scelto come “reale” città del suo film, e del concetto di memoria letteraria e memoria “fisica” (il costruito come documento storico) di un territorio.
In occasione del centenario della nascita (Ferrara, 29 settembre 1912), la rivista pubblica in questo numero il testo che segue e dedicato alla villa che Michelangelo Antonioni si costruì, architetto Dante Bini, in Sardegna in Costa Paradiso nel 1969.
La villa di Michelangelo Antonioni in Sardegna.
Una luna di cemento – magnifica e leopardiana – sulle rive scoscese di Costa paradiso.
di Lucio Fontana
Quando sono arrivate le villette, in granito rosa, in stile “sardo”, con il patio in legno, numerose, sistemate sulla roccia come in un ingorgo, ma vendute – come e perché – “mimetizzate” nella natura, costruite con materiali locali (la ricerca architettonica “neorealista” qui non c’entra: il ricorso alla “tradizione” qui è un codice politico per scrivere convenzionali regolamenti urbanistici), tutte protese verso il mare, l’una stretta all’altra e l’una identica all’altra (l’omologazione è il codice piccolo borghese, non idealismo socialista), orientate tutte verso il sole come bagnanti seduti su sdrai uguali, come in una fotografia piena di gente al mare in una spiaggia della Romagna, loro non c’erano già più.
Michelangelo Antonioni, e suoi amici, se ne erano già andati via. Via da Costa Paradiso, da una magnifica villa “moderna”, che oggi “giace” (così il faut ecrir, bisogna scrivere così), magnifica e quasi abbandonata. Incompresa. Troppo moderna. Troppo appartenente al mondo delle idee (platonica): una sfera (una semisfera, in realtà) di cemento che si staglia sul mare di Bonifacio: riflesso a specchio della sfera lunare. Bisogna dare atto agli attuali proprietari di avere capito la bellezza della villa.
Mentre vince e comanda il perbenismo di massa, con la (pseudo) cultura del legislatore che coincide con una cultura ambientalista (che ignora il tema del rapporto moderno, anticlassico, uomo-natura) e dispone la costruzione di tutto “purché in materiali locali e forme tradizionali”, la villa che Michelangelo Antonioni si costruì a Costa Paradiso, sui terreni del costruttore milanese Pierino Tizzoni., a nord della Sardegna, davanti al tramonto, dove la vista è aperta su un mare selvaggio, dove c’è solo una natura rocciosa segnata da un vento fortissimo che rende innavigabile l’infinito (di nuovo: così bisogna scrivere, con la consapevolezza che l’azzardo citazionistico è nella scrittura, non nelle cose) davanti a sé è tutt’altro. Nulla c’entra per dimensioni e disegno all’idea generale di villa in Sardegna.Il progetto
Diceva Tonino Guerra (2) che in Antonioni nulla era per caso. Odiava la genericità e la superficialità. Nei film di Antonioni i riferimenti architettonici sono precisi e antologici. La villa che esplode in Zabriskie point, il quartiere Coppedè (dove abita la borghesia fascista del censuratissimo suo capitolo de I vinti), la Ravenna delle fabbriche di Deserto Rosso, (dove c’è anche la Sardegna, sebbene non citata esplicitamente), gli opifici delle campagne de Il grido, per quanto, sopra a tutti, proprio a indicare una intenzionalità: la sede del “The Economist” di Londra degli Smithson (i coniugi Peter e Alison, rivoluzionari – “brutalisti” e “radicali”- architetti inglesi) con la quale si apre Blow-up (3) .
Quell’edificio della City con cui si è il concetto di palazzo degli affari ottocentesco (la massa muraria e parallelepipeda di derivazione cinquecentesca), inventando un’architettura disgregata per parti e che contiene al suo interno spazi diversi, aperti e chiusi, pubblici e privati, come una vera parte integrante della città colpisce, per la sua inaspettata presenza, ogni studente di architettura che ritrova un pezzo dell’antologia architettonica del Novecento dentro al film, ma anche, più genericamente ogni spettatore, perché vede i giovani della swinging London prendere d’assalto quello che nel 1966. era l’edificio più “anticonvenzionale” della City, ma poi divenuto comunque simbolo (con i suoi vetri a specchio, le sue forme geometriche) di un capitalismo internazionale e finanziario.
Nella storia della costruzione di questa villa ci sono rimandi tra film (di Antonioni) e realtà (la villa). L’eccezionalità sta nella sorte degli eventi (l’‘Ananke!), nella straordinarietà di Michelangelo Antonioni.
«Chi ha costruito questa villa?» Chiede ne La notte, Giovanni Pontorno (Marcello Mastroianni) all’industriale Giovanni Gheradini (Vincenzo Corbelli, padre di Valentina, Monica Vitti, protagonista femminile del film insieme a Jean Moreau). Il film è del 1961. La villa dove è stata girato il film esiste veramente ed è in Brianza. La risposta è soltanto apparentemente sorprendente: «Il Vietti. Le piace? …. . Cesarino fai vedere al signor Pontano la villa….» (4 )
Architetto e comportamenti di una società ben specifica della fine degli anni Cinquanta. Luigi Vietti è l’architetto “milanese” (Cannobio 1903 – Milano 1998) che ha costruito le ville per gli industriali brianzoli (Milano preferì sempre Caccia Dominioni), Cortina (dove è autore, in verità, di magnifiche ville e del Piano regolatore), ma soprattutto della Costa Smeralda del principe Karim Aga Kahn (insieme agli architetti J. Couelle e M. Busiri Vici).
Costa Paradiso, Costa Smeralda, Luigi Vietti, Michelangelo Antonioni: Michelangelo Antonioni nel 1969 è in Sardegna con Nicolò e Luigi Donà delle Rose, ma sceglie Costa Paradiso come luogo dove costruirsi una casa di vacanza, un luogo di ritiro, e l’architetto Dante Bini per costruire la casa che il regista ha già “in mente” (l’idea è a priori).
Dante Bini, infatti, in quegli anni è già noto per i brevetti dei suoi sistemi costruttivi, messi a punto sperimentalmente nella sua cittadina d’origine , Castelfranco Emilia (dove vi nasce da una famiglia di imprenditori nel 1922). Aveva già ricevuto una sorta di ostracismo dalla critica architettonica (Bruno Zevi) (5) che rifiutava in particolare un processo costruttivo come progetto architettonico, ma aveva anche già costruito in molte parti del mondo con il suo metodo “Binishell” quelle calotte in cemento che possono diventare palestre, piccole residenze turistiche, sale da ballo, biblioteche, sale convegni e che dall’inizio degli anni Settanta saranno realizzate per le stesse, molte, funzioni anche in Italia. Il sistema costruttivo consiste nell’apposizione di una serie di tiranti elastici in acciaio disposti a raggiera e posti su una calotta in pvc che, una volta sollevata da terra, diventa forma peumatica per lo strato di calcestruzzo che mantiene la forma semisferica in fase di indurimento e irrigidimento.
In quegli stessi anni Bini progetta anche il villaggio turistico dei Cappuccini sull’isola omonima in Sardegna. Ma la villa di Antonioni assume le valenze di unicum. Nulla ha a che fare con la standardizzazione della tecnica costruttiva.La villa
La forma geometrica pura, artificiosa, si contrappone alla natura davvero spettrale e grandiosa della scogliera e della natura. In un luogo senza storia, tutto natura, la scelta, dell’uomo, dell’architetto (di Antonioni) è quella di contrapporre la perfezione geometrica di una sfera, invenzione tangente a ogni possibile altra soluzione. La contrapposizione di un’idea (che trova forma) a una realtà aristotelica (la natura). L’uomo di Friedrich, che guarda, alla fine dell’illuminismo, la natura e ne trae spavento, costruisce qui è così il suo luogo di pensiero.
Qui Antonioni passava lunghi periodi, dall’estate sino all’autunno inoltrato, in solitudine, o con gli amici. (Il pittore, e amico, Sergio Vacchi si costruirà a fianco, una seconda cupola, più piccola). Vicine arriveranno le ville di Letizia Balboni, la villa del produttore Gian Vittorio Baldi ( … il Baldi della famosa villa Baldi di Paolo Portoghesi: Un coup de des jamais n’abolira le hasard …).
La costruzione, in realtà, fu travagliatissima. Il sistema prefabbricato prevedeva la necessità di una potenza di energia elettrica che non esisteva sul posto, nonché l’arrivo di materiale che le strade esistenti ancora non consentivano. La forza dell’idea.
Rispetto ad altre sue costruzioni, l’apporto specifico di Dante Bini fu anche nel mescolare al cemento la sabbia di granito del posto. Il risultato non è una costruzione identificabile nell’uso dei materiali (non è né vero, né è necessaria l’ipotesi). La superficie rugosa prende i colori delle rocce: all’alba e al tramonto ha il colore della natura e ne è la “cosa” più lontana. Questa è la “cosa” straordinaria.
Giulio Carlo Argan (che di Antonioni scrisse anche a proposito dei dipinti) parlò della casa sulla cascata di Frank Lloyd Wright come una gara, ai punti, tra uomo e natura. Tutto si giocava sulla terra. Qui tutto è ai limiti. L’immagine della casa si sovrappone a quella del suo illustre padrone: entrambi guardano il mare.
Antonioni lavorò molto all’idea della casa e alla costruzione della casa che abbandonò, con la moglie Enrica Fico, alla fine degli anni Ottanta.
All’interno dell’abitazione si accede arrivando dall’alto attraverso un ponte sospeso. Entrati, il riferimento è alla grotta (Platone questa volta, forse non c’entra): la parte interna della cupola è, per l’intera metà, vuota e dall’alto si percepiscono insieme il grande vuoto del soggiorno e, attraverso una vetrata spaziale curva (l’immagine della luna e del casco degli astronauti arriva al visitatore preso dalla sindrome di Standhal per entrare in questa casa, nella casa dove ha vissuto Michelangelo Antonioni) del mare aperto: così aperto da essere (o sembrare, senza differenza) curvo.
Nella parte verso la montagna rocciosa ci sono le stanze, un sorprendente balconcino sul mare in una sezione della calotta (dove sono nascoste anche le finestre), i servizi: tutto intorno a un patio aperto: un grande foro (che rimanda al Pantheon, a Boullée) che porta acqua e luce sul piccolo giardino interno.
La grande scala che scende è in lastre di granito rosa: tagliate nella parte superiore, spaccate nella parte inferiore, verso terra (dove è nascosto l’impianto di riscaldamento). Antonioni, Bini, il regista Carlo di Carlo, grande amico di Antonioni e suo importante biografo, andarono insieme a cercare le lastre sul monte dietro la villa.
Effettivamente è impossibile non immaginare Monica Vitti, compagna di Antonioni durante la costruzione della villa, scendere da quella scala.
L’immagine della luna o di una astronave ad essa diretta (e ad essa somigliante) sono le immagini che più rimangono impresse dell’esterno. Le fotografie dell’interno che oggi appaiono (internet) ancora mostrano un luogo del tutto identico a come l’aveva voluto Antonioni: pochi arredi bianchi, nulla alle pareti.
E ancora sono identificabili quegli oggetti, quelle finiture, che sono, ancora oggi, i dettagli della (vera) architettura: le lampade di Artemide, gli interruttori della Bticino, ecc. . Nessuna concessione alla banalità.Oggi Costa Paradiso è un enorme villaggio residenziale. Le ville, tutte simili tra loro, hanno occupato ogni spazio libero dalla strada d’accesso sino ai moli della costa e hanno incorporato le ville “storiche”. Non è un dato né positivo né negativo.
La villa di Michelangelo Antonioni è rimasta in assoluto la più isolata. Se a Costa Paradiso si chiede dove sia la villa di Antonioni, pochi rispondono. L’esattezza della risposta dipende dall’età dell’apostrofato: dal nulla ad “Antognoni” (Giancarlo Antognoni) il calciatore. È normale in un paese dove non si dà importanza alla cultura.
Oggi la villa appare unicamente segnata dal tempo: bellissima. È meravigliosa. Guarda come un’aquila (solitaria) legata alle rocce il mare e l’orizzonte. Soltanto il silenzio che la circonda le rende omaggio e onora i suoi vecchi padroni. Ci si deve augurare che nessuno decida mai di demolirla per lasciare lo spazio alla bruttezza e alla finta bellezza imperanti. Forse è giusto che diventi rovina, per non diventare “di cartone” (una villetta per benpensanti).NOTE
(1) L. Fontana. “Il colore della memoria. La Ravenna di Michelangelo Antonioni”, ‘ANANKE, n° 5, 1994, pp. 96-99.
(2) Nel 2008, quando ho cominciato a occuparmi della villa di Michelangelo Antonioni a Costa Paradiso ho avuto modo di chiedere proprio a Tonino Guerra del rapporto tra l’architettura e il regista. «Ogni dettaglio, ogni cosa che rientrava nella macchina da presa – testimoniava T. Guerra – doveva rispondere a precise motivazioni». Il sopralluogo per Blow up venne fatto in Inghilterra da M. Antonioni, T. Guerra e Clare Peoploe, «insieme a un gruppo di architetti inglesi» che accompagnarono il regista a vedere «le nuove architetture di Londra». La trascrizione della conversazione con Tonino Guerra, avvenuta nel 2009, sarà pubblicata in un volume, in fase di preparazione, dedicata alla Ravenna di Michelangelo Antonioni. Devo ringraziare per le informazioni sulla villa di Costa paradiso Enrica Fico Antonioni e Carlo di Carlo. Ringrazio anche l’architetto Dante Bini per le indicazioni bibliografie del suo lavoro. Nel 1974 Michelangelo Antonioni partecipò al progetto collettivo e multidisciplinare promosso dall’architetto Ico Parisi per la definizione di uno spazio residenziale e di vita “Operazione Arcevia Comunità Esistenziale”, insieme a T. Guerra, César, A. Clementi e altri. Michelangelo Antonioni commissionò inoltre a Kenzo Tange il progetto per una casa di campagna, a Roma che non venne però costruita.
(3) Per la descrizione dell’architettura v.: M. Biraghi, Storia dell’architettura contemporanea, vol. II (1945-2008), Einaudi, Torino, p. 131. All’Autore, ovviamente, non è sfuggito il riferimento importante a Blow-up.
( 4) Dialogo del film e trascrizione nelle diverse sceneggiature pubblicate divergono in alcuni dettagli. Ma sempre specifico e “reale” è il nome dell’architetto e non muta il senso dell’invito a visitare la villa e il parco. Il rapporto verità e finzione è presente, nel film, anche nel ricevimento della presentazione del libro del protagonista. Editori e scrittori reali (V. Bompiani, ecc.) sono “vere comparse”.
(5) D. Bini, A cavallo di un soffio d’aria. L’architettura auto formante, Guerini e associati, Milano, Milano, 2009, p.55.
Il Giornale: articolo e intervista a Diana Lanciotti su Costa Paradiso