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Joy. Tre meravigliosi anni.

Oggi il mio Joy compie tre (meravigliosi) anni. Tre anni di grande amore, ansie, preoccupazioni, problemi. Anche di scontri (non è un carattere facile… ha un caratterone adeguato alla sua mole) che però ci hanno portati a impegnarci a capirci. E ora credo di poter affermare che tra me e il mio Joy c’è una comprensione quasi totale. Forse potrei anche togliere quel quasi, ma lo lascio, per non esagerare.

Joy è nato il 19 novembre 2005, esattamente dodici giorni dopo la scomparsa del mio Boris, il mio angelo custode. E proprio dodici giorni fa ho commemorato lui, il mio Boris. Oddio, non è che abbia bisogno del giorno esatto per ricordarlo: Boris è nella mia mente (e nel mio cuore) sempre. Non c’è giorno che passi senza che gli rivolga un pensiero, un pensiero pieno di nostalgia e gratitudine per uno degli esseri più cari che ho avuto accanto, uno dei doni più belli che ho ricevuto dal cielo. Boris è con me, accanto a me, sempre. Sopra di me, visto che al collo porto la sua medaglietta, il gioiello più caro e prezioso che ho.
E però proprio quel giorno lì, quel 7 novembre, dopo tre anni, ho passato alcune ore a ripercorrere proprio quelle sue ultime ore. Proprio nel momento in cui lui tre anni fa iniziava a star male, io, pur senza averlo deciso, ho iniziato a sentire una strana inquietudine, un’agitazione interiore. E da lì il pensiero è andato e l’ha riaccompagnato nella sua agonia. E l’ho rivisto, e sentito… ero ancora lì con lui…
A un certo punto mi sono detta: “Ma dai, cerca di non pensarci, ti stai facendo del male”. Ma poi, come sempre mi succede davanti al dolore, mi sono detta: “Eh, no. Non ha senso non volerci pensare, non ha senso e non è giusto fuggire e cercare di distrarsi. Glielo devo e me lo devo. Non posso fuggire al ricordo di qualcosa che ha fatto parte di me. La vita non è solo gioia, è anche dolore, ma non per questo è meno bella.”
Ora posso ricordare quei momenti con la stessa intensità, lo stesso amore, ma con meno ansia… perché so, alla fine di quel calvario, che cosa succederà. Allora non lo sapevo (non sapevo, cioè, che e se Boris stesse morendo). Ma ora lo so che cosa è successo, poi. E il ripensarci mi aiuta a “godermi” (sì, non scandalizzatevi: ho detto proprio “godermi”) gli ultimi istanti passati con il mio angelo. E mi viene in mente ogni suo sospiro, ogni suo sguardo, ogni suo fremito… e mi accorgo che essere stata lì con lui è stato importante, per lui, e anche per me. Se non ci fossi stata non me lo sarei mai perdonato. E invece ero lì, a raccogliere i suoi ultimi sospiri, i suoi ultimi pensieri che, ne sono convinta, erano pieni di me, erano tutti per me. Sono convinta che Boris in quei momenti soffrisse non tanto per il dolore che provava, ma per il grande dolore di lasciarmi e per il dolore che mi avrebbe causato lasciandomi.
Poesia, dirà qualcuno. Pia illusione, penserà qualcun altro. No, non credo. Se quegli otto anni passati insieme sono serviti a qualcosa, sono serviti soprattutto a creare una comunione profonda, tra me e Boris. Qualcosa di trascendentale, che non avevo mai provato prima e mi ha riempita di stupore e gioia. E proprio grazie a quella comunione così profonda, dodici giorni fa ho ripercorso ogni momento della sua sofferenza, della nostra sofferenza, quella strada che insieme abbiamo percorso per arrivare fino al distacco. E poi sono andata a trovarlo nel punto dove lui riposa e, senza bisogno di parlare, gli ho detto tutto quello che comunque lui sa già.
Dopo tre anni provo per Boris esattamente quanto provavo allora. Un amore grande, profondo, bellissimo.
E allora… allora, mi chiedo: come ho fatto, dodici giorni dopo la sua morte, a decidere di accogliere Joy? Dopo un dolore così grande, così annientante come quello che mi ha accompagnata per tanto tempo (mesi, anzi anni), con quel dolore dentro che mi paralizzava, mi anestetizzava, come ho fatto a dire o anche solo pensare “Voglio un altro cane?”
Bisogna dire che non ero lucida. Eppure nella mia non lucidità sapevo (lo so da tempo) che il grande dolore per la perdita di un cane o di un gatto può essere in qualche modo stemperato dall’amore che sei in grado di dedicare a un altro cane, un altro gatto. Non parlo di sostituire (tutti noi che li amiamo tanto sappiamo che nessuno dei nostri cani o gatti può essere sostituito. Ognuno di loro è unico, insostituibile): però da sempre sostengo che se hai dato amore a un cane, o a un gatto (ma anche a un coniglio, un uccellino, un cavallo, un criceto, un rospo, una tartaruga…) e quel cane o quel gatto o altro ora non c’è più, potrai dare ancora amore a un altro cane, a un altro gatto (o altro). In modo diverso, ma può succedere.
Qualcuno mi diceva di aspettare, per metabolizzare il dolore; Gianni stesso mi chiedeva di aspettare per paura di mancare in qualche modo nei confronti di Boris, di tradirlo, insomma; qualcuno mi consigliava di non “prendere” un altro Leonberger, perché avrei finito per fare i confronti. Ma io, di certo guidata dal cuore e non dalla ragione, ho fatto quella telefonata a Daniela, così, tanto per provare. E lei ha capito il mio dolore e mi ha detto che a giorni sarebbero nati dei cuccioli e che, se decidevo, me ne avrebbe riservato uno, portandomi in testa alla lista di richiedenti. Mi aveva capita. Aveva capito che senza Boris non ce la facevo, e che avevo bisogno di dedicarmi a qualche altro essere che mi impegnasse la mente. E così, in anticipo rispetto al previsto, alle due del pomeriggio del 19 novembre di tre anni fa Daniela mi ha telefonato dicendomi: “Sono nati”. Erano tre: un maschietto grande e grosso e due femminucce. E intanto che mi parlava sentivo in sottofondo un ben noto pigolio: lo stesso che il 4 giugno del 1997 Lucia (la mamma umana di Bimba, la mamma di Boris) mi fece sentire quando mi telefonò e mi disse: “Sono nati”. Però mi pareva impossibile che le circostanze si ripetessero. Che, cioè, Daniela mi telefonasse stando appiccicata ai cucciolini, così come aveva fatto nove anni prima Lucia. E invece erano davvero loro che cercavano il latte della mamma.
Ho avuto poche ore per decidere: Daniela aveva già altre prenotazioni e i cuccioli erano appena tre. Piangendo disperata sono corsa da Gianni dicendo (mi ricordo ancora la profonda costernazione): “Sono già nati. E’ già nato!!!”. Ma non ero felice. Ero spaventata.
L’ho vissuta come un dramma, quella nascita, più che una gioia. Perché mi metteva di fronte a una decisione che, lo sapevo, era prematura.
Ma alla fine ho deciso. E dopo un mese eravamo là, da Daniela, a vederli. Anzi, a vederlo. E lui, quando mi ha vista, ha spalancato i suoi occhi grigiazzurri da latte e li ha fissati dritti su di me, con sorpresa. “Ah, sei qua. Eccoti”, mi ha detto. Sono sicura che me l’ha detto.
E io, piangendo e ricordando una mattina piovosa di luglio in cui per la prima volta strinsi tra le mie mani la testolina bella del mio Boris, ho preso in braccio Joy.
E ho sentito che era lui, lui, il mio Boris che tornava da me. E poi, prima di lasciarci, Joy ha fatto una cosa incredibile: mi ha preso in bocca, nella sua piccola bocca, il polso. Proprio come faceva Boris.
Da allora il mio cuore è rimasto lì con lui, con quel fagottino di cui ogni tanto Daniela mi mandava le foto. Bellissima quella di lui col berretto da Babbo Natale e il commento: “Auguri dal babbino più bello che c’è”. Da allora Joy è diventato il nostro babbino.
Finché, un mese e mezzo dopo, esattamente il 3 di gennaio, mi arriva quella telefonata. “L’ho portato dalla veterinaria. Ha un megaesofago. Lei consiglia di sopprimerlo”.
Il mio mondo, che si era riempito di gioia e di attesa per l’arrivo del mio babbino, quel mondo che dopo essersi fermato con la morte di Boris aveva finalmente ripreso a girare, si è fermato di nuovo.
Ma né io né Daniela abbiamo accettato di farlo sopprimere. Solo che ho dovuto lottare con lei per averlo. Non voleva e non poteva darmi un cane “difettoso” E così aveva deciso di tenerlo e di accettare il suo destino.
Ma Joy era il mio babbino Natale, e lo amavo già con tutta me sessa. E allora il 14 di gennaio io e Gianni siamo andati a vederlo con il dottor Dalzovo, il nostro veterinario.
Quando Joy mi ha rivista non ha avuto occhi e zampe e dentini che per me. Mi si è piazzato addosso e non mi ha mai mollata. E io ho deciso che non l’avrei mai mollato. L’ho portato a casa il 30 gennaio e da allora è iniziato l’impegno di alimentarlo e curarlo, di vivere praticamente per lui. Mesi terribili, in cui mi svegliavo di notte e andavo a vedere se respirava. Mesi in cui ci siamo attaccati come mai avrei pensato fosse possibile. Mesi in cui siamo diventati indispensabili l’uno per l’altra.
Mesi che mi hanno fatto capire che la mia decisione, che poteva sembrarmi azzardata, prematura, aveva un senso.
Ora lui è qua, il mio colosso, la mia roccia. Il mio cane gradasso, come lo chiamiamo. Ha avuto la sfortuna di perdere Paco, che adorava, che era il suo capo, il suo maestro, e di dovere prendere il comando senza esserne veramente portato. E alla fine travalica e Tommi, il dolce Tommino che compirà due anni tra pochi giorni, ne fa le spese. Ma non succede mai nulla di brutto. Solo ringhiate, spinte, piccole prepotenze, alle quali Tommi si assoggetta volentieri, quasi fosse un gioco. E probabilmente, anzi certamente è un gioco. Sono così affiatati come mai ho visto due cani. Si fanno un sacco di compagnia e insieme giocano come due cavalli scatenati. Tanto che a volte devo sgridarli perché la smettano. Sono come due bambini esuberanti. Ma che bella, l’esuberanza.
E allora, quando li vedo felici, mi dico che era giusto così. Che se allora ho scelto Joy senza esserne veramente consapevole, qualcuno ha deciso per me e mi ha fatto fare la cosa giusta.
Ecco, adesso Joy si stiracchia e approva, appoggiando la sua testona sul mio piede ed emettendo quel fischio strano (un fischio sospiroso che emette quando si rilassa o si aspetta qualcosa da me). Lo stesso fischio sospiroso che Boris emise per tutta quella notte terribile. Un suono che non avevo mai sentito prima, e che parlava di sofferenza. E adesso invece lo sento tutti i giorni, ma è un suono che mi parla di serenità, di gioia di stare insieme. E mi ricorda che la vita è un tutt’uno di dolore e gioia. E che non possiamo sfuggire all’uno se vogliamo poter godere dell’altra.
Auguri, mio caro, carissimo Joy, per i tuoi tre meravigliosi anni. Ti voglio un bene dell’anima. Tu lo sai, perché te lo dico sempre. E ogni volta mi rispondi con quel sospiro…

Diana

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