Molti di voi lo conoscono perché hanno letto di lui nei miei libri, all’interno della storia oppure nei ringraziamenti, nei quali lo definisco immancabilmente (e sinceramente) “punto di riferimento insostituibile” per la mia famiglia (sia a 2 che 4 zampe…) Parlo del dottor Marco Dalzovo, da 23 anni il nostro insostituibile veterinario. Ma anche un grande amico. Da quando io e Gianni entrammo per la prima volta nel suo ambulatorio di Verona, lui entrò nella nostra vita diventandone una parte fondamentale: un “punto di riferimento insostituibile”. Andammo da lui su consiglio di amici: Patrik, il mio adorato gattone bianco, stava male e deperiva a vista d’occhio. Altri veterinari avevano ipotizzato strane malattie, rare o meno rare, ma comunque terribili. In realtà Patrik aveva una banalissima tenia, e il dottor Dalzovo la diagnosticò subito, a colpo sicuro. Scoprii ben presto che è la normalità, per lui, fare diagnosi così precise e immediate, quando altri hanno bisogno di una valanga di indagini. Col tempo mi spiegò che spesso la realtà, in medicina, è molto più banale e logica di quanto certi soloni (medici o veterinari) vogliano farci credere, forse per ammantare la loro professione di quell’alone di straordinarietà, di sapienza inarrivabile, di presuntuosa superiorità che dovrebbero collocarli su un piedestrallo. Il dottor Dalzovo è un veterinario coi fiocchi e i controfiocchi, ma non fa mai pesare la sua bravura e la sua professionalità. La sua semplicità è a volte disarmante, e si manifesta in tutto il suo modo di porgersi, di vivere e lavorare. A volte mi è capitato di mandargli dei clienti che volevano sottoporgli il caso (quasi sempre disperato) del proprio cane o del proprio gatto. Persone reduci da peregrinazioni nelle cliniche più blasonate, e da sequele di esami. E mi è toccato più volte prevenire le loro obiezioni, preparandole al fatto che l’ambulatorio del dottor Dalzovo è un semplicissimo studio, dall’aria quasi dimessa e démodé. Lui non ha bisogno della pompa, della forma e delle formalità. Non ha bisogno di esteriorità. Basta lui, con la sua esperienza e la sua bravura, senza orpelli e discorsi fumosi. Con chiarezza, con senso pratico, sa andare subito al cuore del problema senza girarci intorno con paroloni che fanno sentire scemi e inadeguati. Lui è il classico dottore con tanta e tanta di quell’esperienza che gli basta un’occhiata per capire qual è problema. Non solo capirlo, ma anche risolverlo. E il più delle volte senza bisogno di esami costosi e indagini complesse. La semplicità, sì: è la semplicità la sua arma vincente. La semplicità che gli deriva da una passione genuina, da un vero amore per gli animali con i quali ha un feeling davvero straordinario. Quanti animali ha salvato, quante situazioni disperate ha risolto? Quante volte mi è capitato di parlare di lui con chi lo conosce, scoprendo che in ogni vita in cui è entrato ha lasciato un segno profondo? “L’uomo del destino”, l’abbiamo definito più volte io e Gianni, che ha cambiato tante vite. La nostra, ad esempio: fu lui, ventidue anni fa, a consigliarci di andare al canile: «Io, fossi in voi, proverei ad andare al canile; sapesse quanti cani abbandonati ci sono, e hanno tanto bisogno di una famiglia…» Fu così che incontrammo Paco, il nostro cagnolino adorato che ci ha trasformati, aprendoci gli occhi, la mente e il cuore su realtà che nemmeno ci prefiguravamo. E fu così che qualche anno dopo nacque il Fondo Amici di Paco, per aiutare tanti animali meno fortunati del nostro Pachino. Se ripenso a quante ne abbiamo passate, insieme a lui, al nostro dottore… In ogni evento bello o brutto della nostra vita, lui è sempre stato presente: un punto di riferimento incrollabile, un pilastro a cui appoggiarsi con fiducia. Un amico leale, corretto, affidabile, incapace di darti fregature e raccontarti storie. Quanti ricordi, quante condivisioni, nella gioia e nel dolore… Ci sono momenti che non dimenticherò mai. Come quando gli telefonai dicendo che Joy aveva il megaesofago. E lui, dopo avermi descrtto la gravità della situazione, mi chiese se lo volevo proprio, “quel cane”. E quando gli risposi di sì, mi disse: «E allora lo cureremo.» E da allora fece di tutto perché il mio dolore si trasformasse in una grande gioia. Ci mise tutto il suo impegno, e fece di Joy un cane sano e felice. Facendo felice anche me, dopo tanta sofferenza. O quando mi salvò la vita, quando fui colpita da un’emorragia alle tonsille e mi intimò di andare “immediatamente” al pronto soccorso. Se non gli avessi dato retta, in poche ore sarei morta. O quando dopo la morte di Boris lo accusai di avermi ingannata, di non avermi rivelato la gravità della situazione. E lui accettò il mio sfogo senza difendersi, con un sorriso di scusa, assumendosi delle colpe che non aveva, capendo che in quel momento di dolore così lacerante avevo bisogno di un capro espiatorio. Da allora la nostra amicizia, anziché incrinarsi, si rinsaldò. Confermando che i veri amici a volte se le cantano ma poi tornano a volersi bene come o più di prima. Ci sono frasi sue che abbiamo definito “celebri” e che sono entrate nel lessico familiare. Come quella con cui suggellò la nostra amicizia con Paco: «È un simpatico ragazzo, vi farà passare tante belle serate.» O quando a proposito di Joy, che altri avevano condannato alla soppressione, mi disse: «Se non lo prende lei, per me non se la cava.» O quando, dopo la morte di Paco, gli telefonammo dal rifugio di Olbia dove avevamo visto un frugoletto che smaniava per venirsene via con noi, e disse: «Lo porti via da lì. Lo rapisca.» O quando mi diede il suo benestare a portare Oreste in Sardegna: «Lui ha bisogno di lei. Se lo lascia lì lo trova morto sul terrazzo quando torna.» O quando Boris fu punto da un riccio e il suo commento fu: «Ci sono quelli furbi, che sanno come si fa con i ricci… e poi ci sono quelli come Boris…» Quando si amano tanto gli animali, e gli animali sono una parte fondamentale della nostra vita, è bello poter contare su persone così. Capaci di risolvere ma anche di sdrammatizzare certe situazioni. In uno dei tanti ringraziamenti che gli ho rivolto nei miei libri, una volta ho scritto: “Al dottor Marco Dalzovo, che da oltre tredici anni si prende cura della salute di Paco mettendoci tutta la sua professionalità, tanta pazienza e un bel po’ di cuore (avete letto bene: “cuore” e non solo “cure”).” Sì, è vero: il cuore lui glielo mette sempre. Un cuore grande e gentile, che lo fa gioire e soffrire, ancora dopo tanti anni di professione, per le sorti dei suoi pazienti. Li conosce tutti per nome, uno a uno. Sono tutti un po’ figli suoi. Lui è sempre lì per tutti, presenza discreta ma salda, capace di intervenire, aiutare, sostenere alla minima richiesta di aiuto. Con partecipazione, con sensibilità e un’umanità che nemmeno tutti gli anni passati in mezzo alla sofferenza hanno incrinato. Non ho mai notato in lui quella forma di distacco e di disincanto che molti medici manifestano. Lui sa soffrire ancora per un animale che sta male o che ci lascia, e non ha paura di dimostrarlo. Ed è la sua forza, non la sua debolezza. Perché non ho mai scritto prima queste cose sul dottor Dalzovo e invece lo faccio oggi? Perché lui se n’è andato. Domenica. Con la dignità di un vero Samurai. E allora mi sono resa conto che tutte queste cose non gliele ho mai dette e avrei dovuto dirgliele. Di solito per pudore o chissà cos’altro ci costringiamo a non esternare agli altri i nostri sentimenti di amicizia, stima, affetto. Si lascia che siano i nostri comportamenti a parlare, dimenticando la forza delle parole, che hanno invece tanta importanza. Così si finisce per non dire, per non esprimere i propri pensieri, la propria gratitudine, la propria ammirazione per gli altri, per paura di mostrare il proprio cuore, di essere fraintesi, di mostrarsi deboli o sentimentali. O chissà cos’altro. Se invece lasciassimo emergere i nostri sentimenti anziché nasconderli, se parlassimo, invece di “far capire”, saremmo tutti molto più sereni e in pace col mondo e con noi stessi. Ora che ho scritto queste cose mi sento più serena, e spero che lui, ovunque sia, possa leggerle e sapere che il suo passaggio su questa terra ha lasciato un segno profondo in tante persone, oltre che in tanti animali. Era davvero una persona speciale. Non aveva idea di che cosa fosse il business: spesso curava i miei cani e i miei gatti al telefono. Gli bastava una descrizione dettagliata dei sintomi. E conoscere a menadito la storia di ognuno di loro. Si ricordava sempre tutto di ogni suo paziente. Non ha mai cercato di lucrare sul dolore altrui. Da quando si era saputo che aveva salvato il mio Joy, affetto da megaesofago, decine da persone da tutta Italia lo chiamavano per un consulto. Ne ha salvati a decine, in questi anni, curando anche a distanza (e senza chiedere un euro) cani che altri ritenevano spacciati. In questo momento tutti noi che l’abbiamo conosciuto, apprezzato e amato (nell’accezione più pura del termine) ci sentiamo orfani di una grande guida, di una figura di riferimento fondamentale. Persi, indifesi. Fino all’ultimo, anche se sottoposto a veri e propri terzo grado, ha voluto negare, dicendo «Sono solo stanco: sto lavorando troppo.» E tutti ci siamo aggrappati alle sue bugie, negando l’evidenza. Ha deciso di andarsene senza farsi compiangere da nessuno, senza far soffrire nessuno al di fuori della sua famiglia. È stata l’unica volta, l’unico caso in cui ha sbagliato in pieno diagnosi e terapia: infatti non è di certo negandoci la verità che ci ha preservati dal dolore, come forse pensava. Anzi, ora la batosta è talmente grossa da lasciarci storditi. Così facendo ha impedito a tutti noi di stargli, ognuno a modo suo, vicino. E pur capendo e giustificandolo, è l’unico “rimprovero” che gli faccio. Non è e non sarà facile accettare che non ci sia più, di non poter più contare su di lui. Di non poter più pensare “Chiamo Dalzovo per…” e sentire la sua voce, pronta a rassicurarci e incoraggiarci. Quella stessa voce che, seppur incrinata, ci ha fatto forza e coraggio fino all’ultimo. Non è e non sarà facile. Ma la sua energia e tutto quello che lui ci ha insegnato in questi anni non andranno perduti, e continueranno a vivere in noi e nei nostri animali che lui ha curato e amato. I miei ragazzi da ieri sono strani, tristi. Hanno capito. L’avevano già capito, cinque mesi fa. Come canta Giorgia, la sua cantante preferita: “Quando una stella muore… fa male”. Grazie, Marco, grande e insostituibile amico. Ci mancherai (è la prima volta, in ventitré anni, che non ti chiamo “dottore” e non ti do del lei). Fa’ buon viaggio: ad accoglierti, sono sicura, troverai Paco, Boris, Joy, Maciste e tutti gli altri che hanno avuto la fortuna di averti come amico e dottore. Diana P.S. Venerdì a Verona gli abbiamo dato l’ultimo saluto. Una chiesa straripante di persone e tante lacrime, ma anche tanti sorrisi, a confermare quanto il “nostro” Marco fosse una persona eccezionale. Andarsene è stata l’unica fregatura che ci ha dato in tutta la vita. Come ha detto Alberto, suo grande amico e discepolo, ci ha lasciato dei valori incorruttibili, che siamo tutti chiamati a onorare e diffondere. Il compito non è facile.
Copia e incolla questo URL nel tuo sito WordPress per farne l'embed
Copia e incolla questo codice nel tuo sito per farne l'embed