Attualità

Il caso Ferragni/Balocco

Cara Diana,
sono letteralmente sconvolta dal caso Ferragni/Balocco non perché ci hanno guadagnato ma perché hanno ingannato gli acquirenti del prodotto e marciato sulla pelle di poveri bambini malati. Mi sconvolge anche chi la difende. Poi penso che adesso per colpa di questo caso molte persone non si fidino più e smettano di sostenere le associazioni che invece la beneficenza la fanno davvero. Che cosa ne pensi?
Carla

Cara Carla, non avrei voluto occuparmi di questa triste vicenda ma, scrivendomi in tanti, mi avete fatto notare che, in effetti, l’operazione Ferragni/Balocco, a carattere puramente commerciale ma mascherata come benefica, getta una luce sinistra sul mondo della solidarietà. Quindi mio malgrado ho deciso di scrivere le mie considerazioni sul mio sito, in un articolo che ti invito a leggere: “La parabola della Ferragni. Dalla torre alle stalle”.
Qualcuno difende ancora l’indifendibile, invece di accettare che il loro idolo stavolta (ma pare non sia la prima volta) ha compiuto un passo falso. Si parla di pubblicità ingannevole, per aver indotto i consumatori a credere che la maggiorazione del prezzo del pandoro venisse convertita in una donazione per i bambini ricoverati all’Ospedale Regina Margherita di Torino. Sul cartellino allegato a ogni pandoro compariva la scritta “Chiara Ferragni e Balocco sostengono l’ospedale…” facendo pensare che comprando quel pandoro si aiutasse l’ospedale. Il tutto contando sulla fiducia dei follower (o meglio i seguaci) della Ferragni verso la loro beniamina. In realtà la Balocco mesi prima aveva già donato all’ospedale un macchinario del valore di 50.000 euro. La Ferragni invece non solo non aveva donato un cent ma aveva percepito un cachet di un milione di euro.
Non è la prima volta che le aziende imbastiscono queste operazioni commerciali, anche con altri influencer, spacciandole come benefiche, però è la prima volta che l’Antitrust interviene contro questi accordi dove la trasparenza è la grande assente.
Parliamo di un impero, quello della Ferragni a cui si aggiunge quello ben più piccolo di Fedez, valutato intorno ai 100 milioni di euro. Una cifra che fa girare la testa e temo che ai due ragazzi l’abbia fatta girare, e non poco.
Una vita spesa a “far sapere” e “far vedere”, a usare persino i figli per alimentare la curiosità morbosa di persone che, identificandosi con quei due che in apparenza tutto possono e tutto possono ottenere, sono disposte a comprare qualunque cosa ostentata dalla coppia: è questo lo stile di vita cafone e… privo di stile che i due, in perfetta sinergia, hanno condotto per anni. Ovvio che loro sono solo fantoccini abilmente manovrati da volponi del mestiere che hanno saputo costruire una fortuna sulla premiata ditta Ferragnez. Due che ormai monetizzano tutto, anche la loro stessa vita per far vendere prodotti, stipulare accordi commerciali, ottenere sempre più visibilità in un circolo vizioso che, a un certo punto, li ha ubriacati e resi dipendenti. Un ingranaggio infernale da cui difficilmente sapranno uscire. Ormai vivono di visibilità. Se non si mostrano… smettono di esistere.
Si punta il dito tanto e solo sulla Ferragni, perché è più facile e comodo. Ma quasi nessuno punta il dito sulle aziende che, per vendere, hanno avuto e hanno bisogno di agganciare la loro immagine a questi influencer, meteore che per un tempo determinato illuminano il mondo fasullo dei social. Un tempo i testimonial “usati” dalle aziende erano personaggi del calibro di Ernesto Calindri (che beveva Cynar contro il logorio della via moderna), Amedeo Nazari, Ubaldo Lay (il famoso tenente Sheridan), Aldo Fabrizi. Allora c’era Carosello ed era chiaro a tutti che si trattava di una “recita” che aveva lo scopo di informare il consumatore divertendolo. Poi fu la volta di Mike Bongiorno, Pippo Baudo… personaggi ben attenti a un modello di vita che non rischiasse di trascinare nella polvere le aziende che si erano affidate a loro.
Adesso invece le aziende scelgono gli influencer o comunque personaggi dello spessore di una carta velina, senza pensare che, come sono saliti velocemente e per meriti il più delle volte effimeri sugli altari del popolo del web, sono altrettanto a rischio di precipitare.
Come consulente di marketing e comunicazione non ho mai consigliato né mai consiglierò a un’azienda mia cliente di sposare la propria immagine con uno di questi personaggi ma, piuttosto, di tenere il più alta possibile la qualità del proprio prodotto per conquistare e fidelizzare il consumatore, senza raccontargli frottole o cercare di abbagliarlo con luccichini che il primo colpo di vento spazza via e disperde.
Un caro saluto

Diana

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