“INTERVISTA” A PACO (dicembre 1997)
“INTERVISTA” A PACO, IL RE DELLA STRADA
Ogni anno sulle strade italiane vengono abbandonati 150.000 cani. Gli incidenti stradali provocati da animali abbandonati sono in media 4.000 l’anno. II periodo delle vacanze estive e quello che va da novembre a febbraio registrano la maggior recrudescenza della vergognosa pratica dell’abbandono. Il destino dei cani abbandonati è molto spesso impietoso: la morte spesso li aspetta, nascosta dietro il muso di un’auto o un camion in corsa. Pochi sono quelli che ce la fanno. Pochissimi quelli che non solo la scampano ma riescono anche a trovare la felicità nell’abbraccio di una famiglia. Ancora meno quelli che hanno la possibilità di raccontare la propria storia. Paco è uno di questi.
Con “Paco, il Re della strada”, Paco, ex cane randagio, narra la sua storia, dalla nascita fino alla “seconda vita”.
Paco, che ha affidato a Diana Lanciotti il compito di mettere nero su bianco le sue avventure, è un personaggio che affascina, intriga, appassiona. E’ un Re della strada, che ha conquistato il comando del proprio branco con coraggio, intelligenza, intraprendenza. E’ un innamorato della vita, un entusiasta che passa attraverso esperienze bellissime o durissime con la stessa incrollabile forza d’animo ed immutato ottimismo.
Paco esiste davvero.Vive a Desenzano, sul Lago di Garda, insieme ai suoi due amici umani, Diana e Gianni, ad altri due cani, Diablo e Boris, e tre opulenti gattoni: Maciste, Qubì e Micia.
Ed ecco, in esclusiva, la prima intervista a Paco (il “Re della Strada”) e a Diana Lanciotti (colei che ha realmente brandito la penna per mettere nero su bianco la storia di Paco).
Paco è proprio un bel cane. E’ un bastardino, o meglio, un meticcio, come pare più elegante dire. Bianco e nero, taglia media robusta, muso nero da Spinone, zampe bianche macchiettate di nero, coda bianca frangiata da Setter inglese, portata quasi sempre a ruota sul dorso, o al massimo diritta. Paco è un dominante, lo si capisce anche da questo. Sotto la frangetta nera, occhi marroni vispissimi, profondi e brillanti. Buoni, ma non da bonaccione, attenti e scrutatori. Difficile mentire ad un paio d’occhi del genere. Vien da pensare che chi un tempo l’ha abbandonato non riuscisse a sostenere uno sguardo così indagatore ed abbia preferito disfarsene. Potrebbe essere. Chissà…
Esordiamo con una domanda un po’ banale, ma legittima: come è nata l’idea del libro?
DIANA LANCIOTTI: “Un giorno stavo guardando Paco in fondo agli occhi (visto che occhi?) e gli ho ripetuto la domanda che da quando l’abbiamo adottato gli rivolgiamo quasi quotidianamente: “Come hai vissuto prima di conoscerci?”. E Paco, che quel giorno era in vena di confidenze, ha incominciato a raccontarmi la sua storia.”
PACO: “E’ vero: continuavano a chiedermelo con sempre più insistenza e ho pensato che fossero davvero interessati. E poi ho pensato che fare un libro sarebbe servito a far conoscere la triste realtà del randagismo e a smuovere qualcuno per metterci un freno.”
Allora l’idea di trasferire il tutto in un libro è nata da Paco…
(Si guardano un attimo con un guizzo divertito negli occhi)
DIANA: “Sì, direi proprio di sì.”
PACO: “Eh, già, già” (borbotta imbarazzato).
Mi sa che voi due vi stiate prendendo gioco di me… Passiamo oltre. Ditemi: “Paco, il Re della strada” è un libro che parla solo di randagismo?
DIANA: “No, no, assolutamente. Ho pensato, cioè, abbiamo pensato di non essere monocordi, di non impostare tutto sull’aspetto drammatico dell’abbandono e della vita randagia. Abbiamo preferito scrivere una storia completa, che parte dalla “rinascita” di Paco, torna indietro alla vera nascita e percorre le tappe di una vita straordinaria, ma anche normale per tanti randagi, purtroppo. La vita che tocca (e spesso anche in peggio) a migliaia e migliaia di randagi.”
PACO: “E’ proprio così.”
Essendo la storia di un randagio ci si aspetta un libro lacrimevole, prevalentemente triste. Invece è permeato di ottimismo, di allegria, di una buona dose d’ironia. Insomma, si potrebbe dire che, nonostante tutto, Paco, hai sempre una buona cera…
PACO (scodinzolando con allegria): “Già, in effetti sono un inguaribile ottimista. Mi può succedere di tutto, ma riesco sempre a rialzare la testa e a guardare dritto davanti. Se oggi non va bene, domani andrà meglio. Se poi non è domani, sarà dopodomani.”
DIANA: “Conosco, pardon, conosciamo bene le leve per far piangere i lettori, perciò avremmo potuto indugiare sugli aspetti più drammatici. Ma non ci interessa il pietismo fine a se stesso. Preferiamo che il lettore conservi la lucidità di giudizio e di sentimenti, e riconosca che, obiettivamente, spesso noi umani siamo in colpa nei confronti degli animali. Vorremmo che chi giunge alla fine del libro si ritrovasse non con le lacrime agli occhi ma, anzi, con la vista completamente snebbiata da pregiudizi sugli animali; che si ritrovasse col sorriso sulle labbra e la voglia di fare qualcosa perché la storia di tutti i Paco di questo mondo sia a lieto fine.”
E’ vero allora che “più conosco gli uomini più amo le bestie”?
DIANA: “No, non in modo così categorico. E’ vero che spesso la cupidigia, l’egoismo, la falsità di certi umani fanno rifulgere per contrasto l’abnegazione, la generosità, la lealtà degli animali. E’ vero che la grande diversità tra uomini e animali è la cattiveria, che appartiene ai primi ed i secondi non possiedono. Però non si può generalizzare. Anzi, spesso l’amore per gli animali aiuta ad aprire il cuore verso i propri simili. Correggerei il detto in questo modo: “Più conosco le bestie e più le amo”. Bisogna essere predisposti a conoscere e capire gli animali, per comprendere quanto sia importante averli accanto, perché possono dare veramente tanto. E ci chiedono così poco… solo di servirci, di amarci e di essere amati.”
PACO: “Io amo gli umani. E’ una malattia da cui non si guarisce. Invece non amo molto i miei simili, mentre ho ottimi rapporti con i gatti. Ma è con gli umani che ho questo legame fortissimo di dipendenza psicologica e sentimentale. Anche se nel mio passato c’è stato qualcuno con la barba che ha rischiato di rovinare tutto…”
Va bene, basta così, non sveliamo i particolari del libro, che ha attimi di suspense che lasciamo godere al lettore. A Paco è andata bene, lui l’ha scampata. Ma per le migliaia di randagi che circolano per le nostre strade (si calcola che siano circa 400.000, senza contare il numero impressionante dei rinselvatichiti), che cosa si può fare ancora?
DIANA: “Continuare sulla strada intrapresa dalle associazioni che agiscono per la tutela del cane. E poi parlarne, scriverne, non solo libri, ma anche articoli sui giornali. La scuola, in particolare, dovrebbe e potrebbe farsi carico di instillare i primi rudimenti di rispetto verso gli animali, a incominciare dalle elementari. Quando ancora non si sono formati pregiudizi, ma la capacità di apprendimento (anche dei buoni sentimenti) è massima. Sono convinta che l’amore ed il rispetto peri propri simili passino anche attraverso l’amore ed il rispetto per gli animali. E’ per questo che abbiamo creato il Fondo Amici di Paco”.
Ce ne parli.
DIANA: “Il Fondo Amici di Paco è nato da un’idea mia e di mio marito, per sostenere attività a tutela dei cani abbandonati o maltrattati. Attraverso Paco e la sua storia siamo riusciti a suscitare un grande interesse intorno al problema dell’abbandono. Paco è “uno che ce l’ha fatta”, ed ecco che può diventare l’emblema di tutti i cani randagi, che hanno vinto la battaglia contro la solitudine, che hanno sofferto ma si sono riscattati dall’abbrutimento rendendo felici gli umani che li hanno adottati. Vorrei che la storia di Paco diventasse un monito contro l’abbandono ed una speranza per tanti tanti altri cani. Il principale obiettivo del Fondo Amici di Paco è proprio di diffondere il messaggio di amore e solidarietà verso tutti i cani. Abbiamo in programma una serie di iniziative che coinvolgeranno le scuole, tra cui un premio letterario per le medie e le superiori sul problema del randagismo”.
In Italia, comunque, non è facile essere cani, né convivere con i cani…
DIANA: “Purtroppo è vero. Non condivido gli atteggiamenti esterofili di tanti, però devo ammettere che in Italia in quanto a cultura animalista, a rispetto e amore per gli animali siamo indietro rispetto alle altre nazioni. Quando si è cani o si convive con un cane i divieti e gli ostacoli che rendono difficile la convivenza sono davvero troppi: non si può viaggiare sui mezzi pubblici, non si può entrare nei locali pubblici, non si può portare il cane in spiaggia. Andare in giro ed in vacanza con i propri cani è difficile, a volte impossibile. E dire che sono proprio i momenti di svago, di vacanza, quelli che ci consentono di apprezzare al massimo la compagnia dei nostri cani e di rinsaldare il rapporto che ci lega a loro. E poi, come si fa ad andarsi a divertire, sapendo che il proprio amico è in una pensione o a casa da solo, triste e incapace di capire perché non può stare con noi? E purtroppo a molti scriteriati l’abbandono sembra la soluzione più semplice. Non è così in Francia, ad esempio, dove l’amore ed il rispetto per gli animali sono connaturati nell’educazione delle persone. Quando vado in Francia con Paco,. mi porto dietro i condizionamenti italiani, e mi faccio degli scrupoli ad entrare in un negozio, in un bar, in un ristorante con lui. Vedesse invece i sorrisi che gli fanno, gli incoraggiamenti ad entrare… Per loro è naturalissimo che un cane segua il proprio padrone, dovunque. Le cito un aneddoto: la prima volta che siamo andati all’estero con Paco, arriviamo a Bonifacio, in Corsica. Ci sediamo ai tavolini di una crêperie, facciamo accomodare Paco in un angolino “perché non disturbi” e ordiniamo. Subito si precipita il padrone del locale a fare un sacco di complimenti a Paco. Poi ci servono: due crêpes per noi umani, ed una bella ciotola d’acqua fresca per Paco. Senza che avessimo chiesto niente per lui …. Da allora la scena si è ripetuta in qualsiasi locale francese dove siamo andati.C’è chi dice: ma il cane sporca, può avere parassiti, ecc. Ecco, qui subentra l’educazione dei padroni, la loro voglia di sottoporre il proprio cane alla regolare profilassi, di mantenerlo pulito, e soprattutto di educarlo a stare in mezzo alle persone, di non disturbare il prossimo, ecc. Educare il proprio cane è una forma di rispetto per gli altri.”
PACO: “Io sono fortunato, perché in vacanza vado con loro, in barca…”
DIANA: “… ed è diventato un marinaio provetto! Del resto (basta aver voglia di stargli vicino) ad un cane si riesce a far fare ciò che si vuole. Pur di compiacerci e stare con noi, è disposto ad adattarsi a tutto, situazione o luogo che sia. Anche ad andare per mare per un mese, come fa Paco con noi ogni estate. Mi viene il magone se penso a quello che Paco ha passato o a quello che avrebbe potuto passare ancora se oggi non fosse qui con noi a farci felici. E’ per questo che cerchiamo di lasciarlo solo il meno possibile e lo portiamo con noi spessissimo, a costo di qualche sacrificio. Anche perché Paco non è un cane facile facile, ha un bel caratterino, tende a dominare e a prenderti la mano se solo abbassi un po’ la guardia. Ma il giorno che l’abbiamo adottato al canile, cinque anni fa, ci siamo assunti la responsabilità morale e materiale di mantenerlo, accudirlo, educarlo, renderlo felice. A vederlo, sembra che ci siamo riusciti. E questa è un’enorme soddisfazione. Provare per credere. Vorrei che tanti, tantissimi provassero che cosa significa dare amore ad un cane e ricevere in cambio lo stesso amore moltiplicato per mille. Quale altro investimento dà un rendimento così alto?…”
Passiamo ad altro. Anche in questo momento nel mondo stanno morendo migliaia di bambini. Per fame, guerre, malattie. Non è un po’ eccessivo questo amore per gli animali, con tutto quello che ci sarebbe da fare per aiutare i cuccioli d’uomo?
DIANA: “So che in tanti la pensano così. Ma non vedo perché i due tipi di amore (per i propri simili e per gli animali) debbano per forza essere in contrasto. E’ pura demagogia, è facile sensazionalismo, ma non produce niente. Vorrebbe dire, allora, che perché aiuto o mi interesso delle sofferenze dei bambini, sono autorizzata ad abbandonare o maltrattare i cani? E’ assurdo. Si tratta solo di una giustificazione, scorretta, di un menefreghismo diffuso. “Non condivido le tue idee (che in ogni caso sono scomode e mi creano disagio), perciò ti derido e ti dimostro quanto poco valgano in confronto ai grandi mali della terra”. Troppo comodo! Ma basta pensare al rapporto meraviglioso che si instaura proprio tra bambini ed animali, per capire quanto questi ragionamenti facciano acqua da tutte le parti. Per dirla con il filosofo Schopenhauer “chi è crudele con gli animali non può essere buono con gli uomini”…
PACO: “Appunto.”
L’intervista è finita. La disponibilità di Paco è giunta al termine. Forse si sente un po’ un divo. Come dargli torto? Del resto è lui che ha scritto parole toccanti come queste: “Ed in ogni caso, raramente, ma molto raramente, per strada troverai un umano che abbia voglia di rivolgerti una parola gentile, di tendere una mano per una carezza, di allungare un tozzo di pane per sfamarti.
Perché sarai ridotto così male, e sarai così sporco, così puzzolente, così arruffato, e avrai un tale sguardo da cane braccato e rinselvatichito, e sembrerai un così orrendo lupo famelico, e sarai così abbrutito e macilento, che farai schifo ed orrore anche a te stesso. E ti riterrai e ti riterranno indegno di avvicinarti a qualsiasi essere umano ad una distanza che gli permetta di scorgere, in fondo ai tuoi occhi, la luce di un amore antico, sempre pronto a riaccendersi, e che nessuna belva umana, per quanto possa o faccia, riuscirà mai a spegnere.”
A meno che tu non sia “Paco, il Re della strada”.
(intervista tratta da “Amici di Paco” n°1 – dicembre 1997)