Buono, il cinghiale!
Qua vivono in mezzo a noi. Anzi, sono loro i veri padroni di casa. Sono loro a decidere se quell’Euforbia che hai appena piantato deve restare lì, o se va divelta e sparpagliata in giro; loro a decidere se quel vaso con l’Ibisco color arcobaleno può restare dov’è o è più decorativo ribaltato per terra, con la terra sparsa dappertutto; ancora loro a stabilire se quell’aiuola di elicriso, con quel profumo inebriante e quei capolini gialli che spuntano come tanti piccoli soli, può restare così ordinata o va zappata e dissodata con zampe e muso.
Del resto, chi siamo noi per pretendere di modificare un territorio selvaggio in cui per secoli l’hanno fatta da padroni?
Ora siamo arrivati noi, e non è che loro ci odino, anzi: credo che ci amino (soprattutto quando qualcuno gli allunga un boccone o, addirittura, gli prepara pietanzine speciali), solo che vogliono farci notare che qua siamo gli ultimi arrivati e che, nonostante le arie che ci diamo, non c’è miglior giardiniere della natura. Meglio lasciarla fare, che pensare di poterci sostituire a lei.
Del resto la macchia è uno dei capolavori più affascinanti, per la forza e la voglia di vivere che dimostra anche in condizioni inimmaginabili, con quei cisti che crescono nella fessura di una roccia e non si sa dove vadano a prendere l’acqua, o quei corbezzoli che esplodono di verde e rosso anche quando non piove per mesi, o quei lecci che crescono rigogliosi in pochi centimetri di terra.
Natura splendida e misteriosa, inimitabile da noi esseri umani, che possiamo solo ammirarla e rispettarla. Accanto a loro, coinquilini del nostro splendido “condominio Terra”.
I cinghiali fanno parte del… pacchetto. Se vuoi vivere in mezzo a questa meraviglia, devi accettare di convivere con loro. Loro che passeggiano tranquilli intorno a casa, che ti tengono d’occhio se per caso butti via qualcosa che potrebbe avere un buon sapore (magari una pesca marcita, o il torsolo di una mela), loro che mettono il muso (e le zampe) in qualunque cosa dall’aspetto un po’ troppo ordinato.
Io ho lottato per mesi (soprattutto contro me stessa) per tenerli lontani. Non perché mi diano fastidio se vanno a zappare un po’ il terreno dove ho piantato un mirto o una santolina, ma perché quell’asino del mio cane li segue e… vabbe’ che loro son quasi domestici, ma vai a dire a mamma cinghiala di lasciar perdere quello sbruffone di cane quando si mette a inseguire i suoi piccolini…
Li vedeste, quanto sono belli… piccini e striati d’oro come i cerbiatti, e con quegli occhi vispi che inteneriscono anche un sasso. Vaglielo a spiegare a mamma cinghiala che è solo un cane e che, al contrario di un essere umano, non farebbe loro del male.
E allora ho cercato di tenerli lontani, per il loro bene e per il bene del mio scriteriato cane. Quando li vedo aggirarsi vicino a casa grido, batto le mani, li spruzzo con la canna dell’acqua, lancio qualche pietra (facendo attenzione a non colpirli).
E intanto dico: «Vai via… guarda che te lo dico per il tuo bene. Qua ci sono i cani… è meglio che tu stia alla larga!»
Ma l’altro giorno lui si è avvicinato. È sbucato in mezzo all’erica, e appena mi ha vista mi è corso incontro muovendo il muso a ventosa e… scodinzolando. Siamo stati a fissarci per un po’ poi, vedendo che non facevo niente, si è avvicinato ancora di più. Era a meno di 2 metri da me e protendeva il muso a forma di salamino tagliato, aspirando il mio odore. Per capire se era un odore cattivo, da catalogare nelle cose pericolose con un bel segno rosso. Ovviamente era un odore buono, che lanciava segnali di pace.
E lui si è avvicinato ancora di più, mentre il suo codino a cavatappi si agitava forsennato. I suoi occhi (dolcissimi, intelligenti) mi fissavano da sotto in su, quasi con civetteria, un misto di aria sorniona e saputa. Io lo fissavo, non facevo altro che fissarlo, ipnotizzata.
La conosco, la conosco quella sensazione, quella corrente che parte da un essere vivente e raggiunge un altro essere vivente, anche se di diversa specie. L’ho conosciuta bene, provata, sofferta, con un’altra creatura “selvatica”, uno storno pazzerello che ho chiamato Oreste. E che mi è entrato nel cuore per non uscire mai più.
Ma con Gualtiero non sarà così. Sì, anche a lui ho dato un nome, però lo terrò lontano, non mi farò conquistare, non cercherò di “addomesticarlo”.
Rispetterò la sua natura… anche se sono due giorni che non lo vedo e già le sue enormi orecchie pelose che vibrano per captare le mie vibrazioni mi mancano un po’.
E poi c’è chi li ammazza per mangiarseli…
Diana
P.S. Proprio alla caccia al cinghiale ho dedicato un capitolo del mio giallo “La vendetta dei broccoli”. Qui trovate un estratto
2 commenti
Sabina
Ciao Diana…. anche io o avuto un cinghiale x amico.dico amico xké gli hanno ammazzato la mamma e lui veniva a mangiare da me….. quanto sono belli.che emozione si è avvicinato a me x prendere una mela e l’ha mangiata tranquillo vicino a me. Piano piano è diventato un’ombra….e che spaventi la sera quando sbucava all’improvviso e mi “saltava” addosso…. avevo detto hai cacciatori che era domestico ma me lo hanno AMMAZZATO lo stesso. Non ti dico quanto o pianto è venuto a morire da me……..
Diana Lanciotti
Cara Sabina, solo chi non ha la fortuna e il cuore per avvicinarsi senza pregiudizi anche agli animali selvatici non può capire che anche loro sono esseri senzienti. Il tuo amico cinghiale ha avuto a sua volta la fortuna di avere un’umana come te per amica. Quelli che l’hanno ucciso sono invece davvero sfortunati perché la loro mente e il loro cuore sono prigionieri dell’ignoranza, intesa come non conoscenza di ciò che c’è al di fuori del loro piccolo mondo.
Un caro saluto
Diana