60 anni fa il sacrificio (inutile) di Laika, il cane-astronauta
Oggi si ricorda, e qualcuno “celebra”, il lancio nello spazio di Laika, al secolo Kudrjavka (ma il nome non era abbastanza “telegenico”, e venne cambiato con il più memorizzabile e carino “Laika”).
Il 3 novembre 1957 la capsula Sputnik 2 fu lanciata in orbita dalla base di Baijkonur. A bordo, in uno spazio ristrettissimo che non le consentiva praticamente nessun movimento, la cagnolina entrata nel mito, sulla cui fine reale la propaganda sovietica tacque per molto tempo, concentrando l’attenzione del pubblico sull’aspetto “eroico” della vicenda.
Laika aveva tre anni e fu scelta perché era di taglia contenuta (pesava 6 chili), aveva un musetto accattivante, ideale da “spendere” nella propaganda che venne creata intorno all’evento, e perché, essendo femmina, per urinare non aveva bisogno di alzare la zampa e quindi poteva stare in uno spazio angusto.
Pare che la biologa russa Adilya Kotovskaya, che si occupò della sistemazione di Laika a bordo dello Sputnik, abbia affermato: «Le chiesi di perdonarci, e ho pianto accarezzandola per l’ultima volta.»
Vien da dire: “Comodo, signora, versare lacrime di coccodrillo.” Però è anche vero che allora c’era una sensibilità diversa nei confronti degli animali, e sacrificarli per la ragion di stato per molti non era così censurabile. E poi, ve lo vedete, sessant’anni fa, col clima politico in cui si viveva, uno scienziato che si oppone alle logiche del potere comunista?
Fu così che la povera Laika venne sacrificata in nome della competizione Usa/Urss per la conquista dello Spazio, esacerbata in vista della celebrazione dei quarant’anni della rivoluzione bolscevica.
In ogni caso è una bruttissima pagina della storia dell’uomo e ovviamente, della storia del cane.
La cronaca dice che “qualcosa andò storto” rispetto ai programmi, che prevedevano che lo Sputnik restasse in orbita intorno alla Terra per 8 giorni, al termine dei quali un’iniezione letale avrebbe posto fine alla vita (leggi: alle sofferenze) di Laika.
In realtà per lei forse andò meglio così: probabilmente a causa di un insufficiente isolamento, in poche ore la temperatura all’interno della capsula salì oltre i 40 gradi, e Laika morì in poco tempo… ma possiamo immaginare in quali condizioni fisiche e soprattutto psicologiche.
Una morte atroce. Che forse è però più pietosa di quella prevista: vi mmaginate che cosa sarebbero stati per lei quegli 8 giorni previsti prima dell’iniezione?
Probabilmente non ci sarebbe arrivata in ogni caso. Forse il destino ha voluto sopperire alla disumanità degli uomini e le ha risparmiato una sofferenza prolungata all’assurdo.
Raccontano che Laika fosse stata addestrata al lancio all’interno di centrifughe, e costretta a vivere in uno spazio orribilmente angusto per abituarla alla permanenza nello Sputnik 2…
Ma che animo, che umanità può avere quell’essere umano che sottopone un animale a tali torture, nel nome (abusato) della scienza?
Oggi si ricordano di lei e “celebrano” l’evento. Non c’è nulla da celebrare, povera Laika. Solo da riflettere su come la storia dell’uomo sia piena zeppa di atrocità nei riguardi degli animali, ma anche nei riguardi dei propri simili.
Altro che conquista dello spazio. Non siamo neanche capaci di conquistarci uno spazio sulla Terra dove vivere in pace, in armonia, amando e rispettando tutte le creature del Creato. Un Creato di cui qualcuno fa parte pur non avendone alcun merito.
Diana
(foto Ap)