Addio, Deric
Sabato 22 giugno è morto Deric Longden, scrittore inglese noto ai lettori di Paco Editore per i suoi “Il gatto che venne dal freddo” e “Roba da far ridere i gatti”, libri amatissimi dagli amanti degli animali, ma non solo.
Deric era uno scrittore molto noto in Inghilterra, e anche molto amato. Aveva scritto diversi libri e sceneggiature e vinto importanti premi della critica. In particolare “Diana’s story” e “Lost for Words” sono stati dei best seller.
Fine della notizia?
No. Deric Longden è stato uno dei miei autori preferiti e voglio ricordarlo con voi.
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Ricordo quando scoprii il delizioso "Il gatto che venne dal freddo", pubblicato da Mondadori intorno a metà anni ’90.
Mi bastò leggere la prima frase: "Se il micio non mi avesse sorriso, be’, forse avrei potuto resistergli" per capire che ero di fronte a un bel libro. Lo lessi d’un fiato, ridendo, sorridendo, commuovendomi.
Lo considero tuttora un piccolo capolavoro. E tuttora è uno dei pochi libri che ho sempre a portata di mano sulla mia libreria e che spesso riapro per leggerne qualche pagina, riprovando ogni volta la stessa emozione della prima.
Deric Longden era uno scrittore di classe, un vero signore, capace di emozionare il lettore senza dover calcare la mano, con una sobrietà e un’eleganza introvabili, soprattutto di questi tempi in cui si tende a caricare o sovraccaricare i libri ma anche i film di effetti ed effettacci più o meno speciali.
Quando una decina di anni dopo scoprii che Mondadori aveva smesso di pubblicare questo gioiellino di libro, esultai e decisi di pubblicarlo per Paco Editore. Non fu facile, ma alla fine ci riuscii. Fu una grande vittoria, per me. Il mio personale tributo a uno dei miei autori più amati.
Nella prefazione scrissi:
"Ce l’ho fatta!
A far cosa? direte voi. Mica l’hai scritto tu questo libro.
E’ vero, non l’ho scritto io ma il fatto di pubblicarlo per Paco Editore mi rende orgogliosa come se l’avessi scritto io.
Diciamo che “Il gatto che venne dal freddo” è il libro che avrei voluto scrivere. Ed è a mio… insindacabile giudizio, il più bel libro scritto sui gatti.
Vedrete, quando l’avrete letto anche voi la penserete come me.
Io, come forse alcuni di voi, ho avuto il privilegio di leggerlo dieci anni fa, quando fu pubblicato da Mondadori. Che, mi permetto di dire per nostra fortuna, non lo ha più ripubblicato, ma ha ceduto a noi i diritti di traduzione, e così ora possiamo essere i fieri e orgogliosissimi editori di questo splendido libro.
Allora, dieci anni fa, ero attratta da tutti i libri che parlavano di gatti… forse perché mi accingevo a scriverne uno io stessa*.
Ma il libro di Deric Longden mi attrasse più di tanti altri che ormai occupavano la mia libreria. Non fu tanto la copertina, seppur molto carina, con l’illustrazione di un tenero micetto dall’aria spaurita paludato in una specie di pigiamino frufru, ma fu la lettura della frase d’attacco (spesso a farmi decidere di comprare o no un libro è proprio l’incipit).
“Se il micio non mi avesse sorriso, be’, forse avrei potuto resistergli”…
Io ho sempre avuto gatti e, a forza di stargli insieme, so che possono sorridere. Ma da qui ad avere il coraggio di scriverlo, di attribuire cioè a un gatto un’espressione tipicamente umana, be’, ci vuole coraggio. Fu proprio il coraggio di dire quella verità che tutti i felici conviventi di un gatto conoscono, ma difficilmente ammettono, a colpirmi.
Deric Longden quel coraggio l’ha avuto. Ha avuto il coraggio di arrendersi al sorriso di un micio e di ammetterlo. Di scriverlo addirittura. Di raccontare questa storia deliziosa, che parla della resa senza condizioni di un uomo all’amore per un gatto.
Da lì in poi, da quella frase in poi, il libro è diventato mio. A casa lo lessi tutto d’un fiato, sorridendo, ridendo, commuovendomi. Ma soprattutto ammirando la capacità di Longden di cogliere certe sfumature, di saper leggere e interpretare con grande sensibilità il punto di vista di un gatto. Leggerete, e vi delizierete, i deliziosi dialoghi tra l’autore e il gatto, e poi mi direte se non ho ragione.
Il tutto, poi, è scritto molto molto e ribadisco molto bene, con uno stile brioso, a tratti spumeggiante. Ma sempre elegante, anzi elegantissimo.
Ecco, è questo il punto. L’eleganza con cui Longden ci racconta la storia di Termal, che è poi anche la sua. Poteva essere facile, vista la sarabanda di avventure che, suo malgrado, Termal vive e fa vivere, o subire, ai suoi nuovi amici umani, lasciarsi trascinare e caricare la dose, strafare. Invece Longden, da gran maestro della scrittura qual è, mantiene la narrazione in un perfetto equilibrio, e quando fa dell’ironia non è mai gratuita, ma sempre garbata eppure altamente esilarante.
Nel descrivere questo gioiellino della letteratura anglosassone non posso non citare l’ottima traduzione di Mariapaola Dettore, una traduttrice coi fiocchi che sa cogliere lo spirito della narrazione e districarsi abilmente nei complicati modi di dire inglesi, porgendoceli nella migliore forma italiana, senza nulla togliere in fedeltà e freschezza alla versione originale. Ed è grazie all’ottima traduzione se il libro di Longden nel passaggio dall’inglese all’italiano non ci perde, ma mantiene scorrevolezza, piacevolezza, briosità.
Insomma, avrete capito che sono semplicemente, perdutamente innamorata di questo libro. Uno dei libri più consunti della mia collezione, visto che mi capita molto spesso di riprenderlo in mano e leggerne qualche pagina qua e là. E’ un’ottima cura contro il malumore, e ve la consiglio.
Due o tre pagine di Longden prima o dopo i pasti, due o tre volte al dì, sono un magico toccasana contro la tristezza. Certo, non vi sganascerete dalle risate come può capitare con uno di quei libercoli umoristici scritti dal comico di turno, quelli che vanno in libreria sotto Natale. No, no, niente a che fare.
A volte, sulle pagine più toccanti, vi capiterà anche di commuovervi (a me capita ancora, alla centesima rilettura), però per favore continuate a leggere, andate avanti. Vedrete: il sorriso è di nuovo lì, pronto a spuntare.
Ecco perché sono felicissima di proporvi questo libro. Ecco perché, quando ho scoperto che Mondadori ne aveva cessato la pubblicazione, mi sono precipitata a chiedere il permesso di pubblicarlo. Averlo non è stato facile. Le trattative con l’agenzia inglese sono state lunghissime e snervanti. Confesso che se non ci avessi tenuto così tanto avrei lasciato perdere. Ma ci tenevo, tantissimo. E ho insistito. Così, dopo una trafila durata quasi due anni, la vicenda è andata in porto.
Lasciatemi dire ancora una volta che questa vittoria, ancor più perché così tribolata, mi rende felice.
Buona lettura!
Diana Lanciotti
Direttore editoriale Paco Editore
*C’è sempre un gatto – Dodici gatti unici con finale a sorpresa (1995 Felinamente & C. – Gruppo Mursia)"
Ora Deric Longden ci ha lasciati. Il vuoto è e sarà grande. Non ho avuto il privilegio di conoscerlo personalmente, ma chi l’ha conosciuto mi dice che era davvero un gran signore, proprio come appare nei suoi libri.
Un ottimo e versatile scrittore, che non si è mai dato tutta l’importanza che altri scrittori si danno. Quelli che credono, per intenderci, che scrivere un libro o anche qualche libro li elevi al di sopra dei "comuni mortali".
Scrivere non è nulla di trascendentale, è una dote che qualcuno fa diventare mestiere. Ma è un mestiere come un altro.
Scrivere non ci differenzia da chi sa far di conto o sa calcolare le traiettorie dei pianeti, o getta il cemento per costruire un casa, o sa intagliare le portiere di un mobile, o cucire un abito.
Eppure qualcuno si comporta come se scrivere lo collocasse in una categoria privilegiata.
Longden non si sentiva di appartenere a nessuna categoria particolare, forse perché aveva lavorato con le mani, prima di mettersi a scrivere, e sapeva quanto di artigianale ci sia anche nella scrittura. Qualcosa che, anche se la pratichi, non ti pone al di sopra degli altri, semmai al loro servizio. Perché se sai scrivere, la tua capacità va usata non per te e sentirti chissà chi, ma per dare qualcosa agli altri: o la tua esperienza, o la tua passione, o i tuoi valori. Tutte le cose che hai dentro e che puoi condividere con gli altri, sfruttando la tua capacità di comunicare.
Longden era un ottimo scrittore, forse troppo schivo e "signore" per diventare un "personaggio". Non era alla ricerca della notorietà a tutti i costi. Non avrebbe mai scritto le porcherie che adesso vengono pubblicate pur di soddisfare gli appetiti morbosi di un pubblico maleducato (cioè educato male) da editori che sviliscono la letteratura, privandola del ruolo di educatrice che un tempo aveva.
Riposa in pace, Deric. E grazie per i bei momenti che ci hai regalato.
Il mio cordoglio alla moglie Aileen e ai figli Sally e Nick.Spero che saranno contenti di sapere che il loro Deric è stato amato da tanti lettori, anche in Italia.
Diana