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Lettera aperta dai giovani di Orgosolo

Mi è stata segnalata questa lettera, scritta e firmata da un gruppo di ragazzi d Orgosolo. Ragazzi che hanno voglia di scrollarsi di dosso i pregiudizi di cui sono vittime i Sardi e in particolare i Nuoresi e gli Orgolesi.
Ho già parlato in lungo e in largo del mio amore per la Sardegna, questa splendida terra a cui sento di appartenere. Non per niente ho scelto, per la testata di questo sito così come per tutte le copertine dei miei romanzi, la fotografia di un tramonto a Costa Paradiso, nel nord Sardegna (località famosa proprio per i suoi tramonti mozzafiato e i suoi scorci di natura ancora selvaggia). E’ là che mi sento a casa, un tutt’uno con quest’isola dai mille volti tutti da scoprire.
Proprio per il grande amore che mi lega a questa terra e all’amicizia che mi lega a molti Sardi, sono felice di poter dare spazio alla garbata protesta di questi ragazzi.
Nella speranza di veder diffondersi la voglia di scoprire la faccia vera della Sardegna, che non è quella modaiola ma neppure quella arretrata che molti credono.

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Eccovi il testo della lettera, pubblicato su https://www.facebook.com/pages/Orgole…37?fref=ts

"Non sappiamo se pubblicherete questa lettera, ma questo in realtà non ci preoccupa. La proporremo ad altri giornali, la diffonderemo online, sfruttando la visibilità di Facebook e dei tanti blog popolari della Sardegna e chiedendo ascolto a chiunque si ritrovi nelle nostre parole. Insomma, con un minimo di fatica raggiungeremo (e probabilmente supereremo) un numero ben più ampio dei vostri stessi lettori. Sarete consapevoli voi stessi del naturale declino della carta stampata, in un’epoca di incessante bombardamento mediatico, e sarete giunti anche voi alla conclusione che ciò che serve oggi è la qualità dell’informazione, la sua serietà, la sua onestà.
Seguendo queste definizioni pensate che oggi la Sardegna abbia una produzione giornalistica superiore al livello del quotidiano di provincia?!
Siamo Orgolesi, nati e cresciuti a Orgosolo, questa terribile zona mai raggiunta dal mondo civilizzato e dove sembra ormai impossibile che questo possa arrivare. A sentire certe testimonianze infatti, sembrerebbe che un’infanzia nel nostro paese non possa essere stata troppo differente da quella di un bambino di Kabul: bombe a ogni ora del giorno e della notte, armi, spari, violenza (abbiamo pure tanti uomini barbuti, in pieno stile talebano, anche se non è chiaro chi abbia lanciato prima la moda tra loro e noi). Beh, dispiace deludervi ma la nostra infanzia è stata molto serena, diremmo felice: scuola, gruppi sportivi e parrocchiali, associazioni di altro genere, e poi bicicletta, pallone, girare per le campagne o per le vie del paese, scoppiare qualche petardo prima di Natale, sbucciarsi le ginocchia e ricevere “il resto” dai genitori per i pantaloni stracciati e la maglietta sudicia, suonare i campanelli e scappare. E poi escursioni fuori paese a conoscere la nostra natura, i nostri siti archeologici, oppure ancora più all’esterno, a scoprire altre meraviglie della nostra isola, o ancora oltre, a vedere che c’è un altro po’ di mondo oltre il mare.
Non sappiamo se questo ci rende gli ex bambini più fortunati del mondo, ma di certo non ci colloca tra quelli più sfortunati. Crescendo ognuno di noi ha sviluppato una propria personalità; c’è chi ha preso strade sbagliate e poi ha raddrizzato il tiro, chi sembrava ben indirizzato e si è perso, chi stenta a trovare la sua via. A ben vedere, i nostri percorsi crediamo siano perfettamente in linea con quelli di qualunque altro nostro coetaneo.
Una differenza, è vero, l’abbiamo notata, crescendo e uscendo dal paese; non sempre, e neanche nella maggior parte dei casi, ma comunque con una certa costanza e continuità nel tempo: l’esserci imbattuti in qualcuno che ci indicava come originari del paese dei banditi, un posto pericoloso, forse eredi noi stessi di un terribile passato, che molti di noi non hanno nemmeno conosciuto. Quando hai 14-15 anni ne ridi quasi orgoglioso e forse ti vanti di tanta fama (buona o cattiva, è sempre fama), tanto a quell’età la confondi e mescoli con le altre cose che rendono famosa Orgosolo: quella dei murales, quella della lotta di Pratobello (a proposito, conoscete quella storia?), quella dell’ospitalità e della sacralità de s’istranzu, o ancora dello splendido Supramonte, magari rifugio di banditi ma naturalisticamente vera e propria meraviglia della natura. Arrivati ai 17-18 anni inizi invece a provare un certo fastidio per le stesse cose cui fino a poco prima non facevi troppo caso. Sai perfettamente che in paese ci sono tanti problemi e criminalità, non puoi e non devi nasconderlo, ma vedi che la maggior parte dei tuoi coetanei ancora studia con buoni risultati, alcuni hanno capito che si sentono più realizzati lasciando lo studio e lavorando, alcuni, ci sono anche quelli, non fanno né l’uno né l’altro. Di nuovo, è molto differente da altre realtà? Eppure inizi a sentirti un’etichetta che ti aderisce addosso, inizi a notare qualche battuta di troppo a cui ti abitui a non rispondere, perché quando rispondi sei un permaloso e così non fai che confermare la tua “orgolesità”. Noti anche che un fatto negativo a Orgosolo nei mezzi d’informazione occupa più spazio e ha più attenzione di quando capita altrove (il discorso vale per il nuorese in generale, ma anche per sant’Elia o san Michele a Cagliari, ad esempio, tanto perché non ci si accusi di vittimismo barbaricino).
Sai di essere ben lontano dal vivere in una comunità perfetta, e ci sono dei momenti di alti e bassi nel vivere la comunità stessa. Esiste un’alta dispersione scolastica e spesso nelle stesse famiglie non si trova un modello di riferimento da seguire; nei comportamenti si vede la tendenza ad adeguarsi alla massa per non essere esclusi; si abusa con facilità e da giovanissimi con l’alcool.
Non elencheremo tutti i nostri problemi, sono ben noti e ancora una volta non peculiari di Orgosolo, siamo certi però che la chiusura che c’è in molti di noi giovani sia anche figlia di tutto questo. Sarebbe difficile altrimenti non appassionarsi alla storia e alla cultura del nostro paese, del nostro territorio, difendendo e
rispettando la gente che lo abita e lo visita. C’è da dire che è stato scarso lo sforzo di definire in modo chiaro e duraturo un sistema per condividere e portare avanti le nostre conoscenze, se si escludono i singoli sforzi di persone volenterose.
Insomma ci sono i giorni in cui ti lamenti e scuoti la testa, altri in cui non puoi contenere l’orgoglio di essere nato in un posto così straordinario. Ma col passare del tempo e il susseguirsi di certi avvenimenti arrivi a porti la domanda più critica: perché questo succede? Ad Orgosolo c’è più criminalità che altrove? Bene, perché?
La prima risposta che ti viene è: il DNA, siamo gente predisposta a delinquere. Ma poi ti scappa da ridere, “Ma andiamo”, dici, “questa è la teoria di uno studioso razzista del XX secolo che collegava la criminalità alla forma del cranio dei soggetti che studiava. E poi sarebbe alla base di credenze e ideologie superate (tragicamente) oltre 60 anni fa. Possibile ci sia ancora qualcuno in giro che creda alla storia dell’indole umana che dipende dalle razze?”. Difficile crederlo, no?
Crescendo, leggendo (anche tra le righe), imparando a ragionare e discriminare concetti e nozioni, si cerca di cogliere quale e dove sia questo nostro problema. Alcune analisi lette qua e là ti portano al Piano di Rinascita e al suo fallimento, ogni tanto si va oltre e si legge qualcosa della “Caccia Grossa” savoiarda nei nostri monti a fine ‘800 (conoscete quell’altra storia?), e quando si è proprio audaci ci si spinge fino a quell’atto di “ammodernamento” (sic) che è stata la legge Savoia nota come “Editto delle chiudende”, 1820, e alla abolizione della Carta de Logu, in vigore da circa quattro secoli, seppellita nel 1827. Ma non siamo degli storici, non abbiamo (ancora) le competenze per un’analisi così approfondita e prolungata nel tempo, faremmo solo figuracce e lasciamo questo compito ai volenterosi studiosi isolani, limitandoci nel nostro piccolo ad esporvi ciò che vediamo.
Del Piano di Rinascita, ad esempio, noi vediamo soltanto il disastro, ci siamo persi la parte divertente. Solo di quello abbiamo avuto esperienza nel corso della nostra vita. È vero, molti hanno avuto di che mangiare da questi impianti allestiti tra i ’60 e i ’70, e l’operaio ha potuto permettere al proprio figlio di andare all’Università. Sta nascendo però in questi anni la generazione dei nipoti di quegli operai. Cosa si lascia a loro, a noi? Non solo la stessa disoccupazione di prima, ma in aggiunta un territorio snaturato, devastato, sporco, inquinato (la prima regione in Italia per estensione dell’area contaminata, ecco cosa siamo, fuori dalle cartoline). Quando recuperabile, sempre che lo sia realmente, quel territorio avrà bisogno di bonifiche anche decennali, ma già oggi si paga il duro conto delle strane malattie, deformazioni, tumori, pesci al sapore di gasolio e quant’altro vogliamo elencare.
Se facciamo un bilancio complessivo di questa Rinascita, davvero avremo la faccia tosta di darle un giudizio positivo? Vale la pena vivere 20-30 anni di miraggio del benessere per ritrovarsi poi ad essere distrutti e privi di altra potenzialità, schiavi dell’aiuto statale? E, magari, è possibile che il disagio, l’alcolismo, la dispersione scolastica, la dipendenza dal gioco, la stessa criminalità siano fortemente legati anche a questo disastro? È qui che nasce il nostro grande dubbio che altri, al di fuori di noi, possano risolvere i nostri stessi problemi. È con le nostre stesse forze che dobbiamo dimostrare di non avere nessun “difetto genetico” e che molto di quanto di negativo o positivo accade (da noi come ovunque nel mondo) è frutto di un ambiente, dei soggetti che lo animano ma anche delle politiche che più o meno creano le condizioni per il sorgere del disagio.
È naturale che ci discostiamo dalle azioni negative che troppo spesso compaiono sui quotidiani e le condanniamo. Tanti già si espongono in prima persona (non senza correre rischi spesso, solo che loro non vanno in prima pagina) per far capire che non ha senso buttare giù un lampione, rovesciare un cassonetto o bloccare un pullman. E non per la paura della cattiva fama che ricadrebbe sul paese per via dei quotidiani, tantomeno per apparire eroici sulle vostre testate, ma per una questione di principio e di buon senso. Ma a fianco all’opporsi ai piccoli fatti bisogna scoprire cosa c’è sotto, cosa provoca queste situazioni, se sono più diffuse che altrove. Ha senso strappare l’erbaccia filo per filo o è meglio passare l’aratro e seminare?
Le stesse istituzioni e la scuola spesso non promuovono la cultura o non lo
fanno in maniera efficace. Ne sono esempio alcune manifestazioni non portate avanti negli anni e che a
volte hanno quasi subito un’attività di boicottaggio da parte delle istituzioni stesse. Pensiamo che da questa
chiusura vengano il prevalere del pregiudizio e della paura di essere giudicati, chiudendosi alle possibilità di
nuovi stimoli ed evitando le attività associazionistiche e l’impegno sociale.
Da qui torniamo a rivolgerci a voi, cari giornalisti. Non vi chiediamo di non parlare delle malefatte di Orgosolo, non ci vogliamo nascondere, tutto il contrario, fate il vostro lavoro in modo onesto e dignitoso. Vi chiediamo però di avere la decenza di non sparare titoloni in prima pagina per mendicare la vendita di due copie in più; vi chiediamo di dare a ogni notizia il peso che ragionevolmente merita; vi chiediamo, e sappiamo che richiede un po’ più di impegno e costanza, di diventare dei veri giornalisti: vi chiediamo cioè di andare oltre i singoli fatti, di superare la cronaca spicciola di provincia, e di iniziare (est tempus!) a unire i tasselli. Se volete continuare ad essere degli scribacchini annoiati è vostro diritto farlo, ma per quanto ci riguarda (a noi passerà la Sardegna che ci stanno lasciando), non ci serve gente che elenca sommariamente i problemi e si lamenta del mondo che va a rotoli. Ci servono persone oneste che dei problemi cercano di capire le cause e cerchino di stimolare, anche attraverso la stampa e l’opinione pubblica, il dibattito per trovarne le soluzioni.
Noi cerchiamo e cercheremo di seguire questo approccio, e in questo siamo già, per il momento, migliori di voi. Nonostante Orgolesi."

Nicola Vedele Gianfranco Lovicu Antonio Floris Alessandro Gaddone Federica Mereu Enzo Meloni Annamaria Congiu Candida Corria Pasquale Mereu Maria Corraine Andrea Rana Michela Corrias Pietro Succu
Pina Corraine Angelo Corda Francesco Mereu Francesca Mesina Gian Mauro Davoli Matteo Sorighe Maria Giovanna Bassu Caterina Rana
Maria Francesca Faedda Agostina Fistrale Barbara Boscia Raffaela Mereu Vincenzo Rana
Giovanni Rana Francesca Meloni Antonella Bassu Serafino Piras Jolanda Corria Maria Luisa Mereu Pina Puddighinu Giovanna Corraine Elisa Buesca Kekkeddu Corraine Barnaba Pala Francesco Moledda Veronica Dettori Gianfranca Rubanu Gianluigi Muscau Elisa Manca Antonio Luppu
Claudia Manca Francesca Vedele Francesca Cuccu Giovanna Corraine Giovanna Mereu Francesco Corria Teresa Corda
Pier Giuseppe Buffa Tottoni Rana Giovanna Corraine Gianfranco Mura Antonio Biancu Laura Pinna Marialberta Buesca Maria Rosa Goddi Giovanni Corraine Antonella Floris Francesca Cossu Pasquale Succu Simone Castangia Giampietro Pinna Francesca Garippa Mariantonia Greco Nicoletta Corraine Nicola Floris Arianna Piredda Antonello Pira Tonina Zoppeddu Valentino Dettori Gianluca Castangia Anna Carta Giovanna Corda Antonella Mesina Piera Rubanu Supramonte Volley Antoni Conzu Antoni Corraine Antonella Fronteddu Francesca Elias Marco Musina Nicola Mereu
Carlo Succu Piermarco Bassu
Antonella Piredda Alessandra Muscau Antonella Muscau Ilenia Floris
Maria Menneas Francesca Bassu Saverio Moro Andrea Muscau Luisa Podda Naniu Mereu Anna Crissantu Mariangela Valurta Francesca Patteri Carmen Vedele Irene Corrias Luisa Biancu Caterina Paddeu Angela Pinna
Elisa Carta Italo Sorighe Defensa Muggianu Antonella Muscau Gian Mario Vedele Zizzu Musina Gabriele Corraine Franca Luppu Francesco Catgiu Dino Biancu Tania Puddighinu Associazione Culturale Murales

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