PACO, IL RE DELLA STRADA. I segreti di un successo che dura da 22 anni (marzo 2019)
Intervista a Diana Lanciotti sullo stato dell’arte dell’editoria e sui perché del successo ultraventennale del suo “Paco, il Re della strada”, un evergreen dell’editoria minore, che fa invidia alla grande editoria. Un libro studiato nelle scuole e amatissimo dai ragazzi, come scopriremo in questa chiacchierata a 360 gradi, dove parleremo anche di un fenomeno poco noto al pubblico… quello dei “fake books”.
L’editoria è in crisi, eppure si stima che ogni giorno escano 200 titoli nuovi, che vanno a riempire le librerie già straripanti. La vita media del libro in libreria si è ridotta ai minimi termini e sono pochi i libri che sopravvivono più di una stagione (un anno neanche parlarne). I grandi successi di un tempo sono solo un ricordo del passato: vi ricordate L’uomo che sussurrava ai cavalli, per citarne uno dei più clamorosi? O Il nome della rosa? O Va’ dove ti porta il cuore? Tempi che furono. Solo i grandi classici restano sugli scaffali, solo perché nessuno ha il coraggio di metterli in cantina. Tutti gli altri, le cosiddette “meteore”, spariscono con la stessa velocità con cui sono arrivati, per lasciare posto ad altri libri, alcuni dei quali venderanno poco o niente e altri tanto, ma spesso resteranno in mostra nelle librerie dei lettori più che nella loro memoria e, ancor meno, nei loro cuori. Ma c’è un libro che, in totale controtendenza, non si è mai fatto affondare dalle ondate dei nuovi arrivati e continua a vendere da 22 anni, apprezzato da adulti e ragazzi per i quali è diventato un vero e proprio cult. Parliamo di Paco, il Re della strada, uscito nel giugno 1997 con Mursia, e dal 2000 ripubblicato da Paco Editore, la casa editrice nata come costola del Fondo Amici di Paco per sostenerne le iniziative a favore degli animali. È la storia di Paco, cagnolino adottato al canile dalla stessa autrice e diventato il testimonial e ispiratore del Fondo Amici di Paco. Un cane reale che, con il suo esempio, ha salvato migliaia e migliaia di suoi simili dalla solitudine. Un libro amatissimo, che ha fatto di Paco un dog-symbol: il simbolo di tutti i cani abbandonati che, dopo essersi salvato, può fare qualcosa di importante per i suoi simili meno fortunati di lui. Un libro “speciale”, anche perché ha aiutato tanti ragazzi a uscire dal loro isolamento e dalle loro difficoltà e a sentirsi più forti.
Ne parliamo con l’autrice, Diana Lanciotti, che oltre ad aver scritto una quadrilogia su Paco, il mitico cagnolino da lei adottato in canile nel 1992, ha all’attivo altri 15 libri, in buona parte dedicati agli animali. Diana, che sin dall’inizio ha scelto di devolvere i suoi diritti d’autore al Fondo Amici di Paco, che lei stessa ha fondato per aiutare gli animali senza famiglia, è giornalista e direttore editoriale di Paco Editore e della rivista “Amici di Paco”. Il tutto nel tempo libero… perché di professione fa la consulente di marketing e comunicazione.
Diana, si legge sempre di meno, eppure si pubblica sempre di più.
Ormai è diventato un circolo vizioso, una china inarrestabile. L’editoria sta subendo una trasformazione che la rende irriconoscibile. Non necessariamente è un cambiamento in peggio. Bisogna saperlo interpretare e non farsi schiacciare.
Che cosa manca rispetto a una volta?
Mancano il libraio come consulente e la libreria come luogo di cultura. Mi spiego: pressoché estinta la figura del libraio preparato, colto, che legge i libri per poterli consigliare ai propri clienti, di cui conosce gusti e attitudini, la vendita dei libri è affidata a punti vendita organizzati come un supermercato (per non dire dei supermercati che vendono libri come un qualunque genere di consumo), dove non è richiesta cultura, professionalità, conoscenza di ciò che si vende. Ora quel che conta è la buona esposizione, il prezzo, la catasta di libri a cui attingere, e più ce ne sono e più se ne vendono. E poi, manca il tempo… Il tempo per leggere, per approfondire.
Che cosa c’è di più, rispetto a una volta?
I social, internet, la fretta, la superficialità. Ormai i libri si comprano in gran parte su internet (Amazon sta spopolando anche in questo settore), dove il libro non puoi vederlo, toccarlo, maneggiarlo, annusarlo. E non sempre si vendono i libri migliori, ma quelli sostenuti da una promozione massiccia che consente a qualche sparuto titolo di emergere sugli altri. Non è più questione di qualità, ma una corsa a chi spende di più per pubblicizzare e promuovere un passaparola che molte volte, alla resa dei conti, si rivela fuorviante.
Molti libri vengono comprati perché se ne leggono recensioni entusiastiche, ma poi finiscono per essere lasciati a metà.
O anche meno. Qualcuno arriva a dire che c’è un sistema per comprare recensioni positive. Qualche commerciante in altri settori lo utilizza da tempo su Amazon: quando ti mandano un prodotto che hai acquistato, inseriscono un cartoncino in cui ti promettono che se farai una recensione positiva ti manderanno un prodotto omaggio… C’è chi dice che lo facciano anche gli editori. Non so se è vero, certo che mi capita sempre più spesso di parlare con persone che, indotte da una recensione positiva, acquistano un libro e poi non riescono neanche ad arrivare alla fine del primo capitolo.
In libreria è diverso?
Ormai le librerie fisiche sono per la maggior parte legate a catene in franchising e sono concepite come le catene dei supermercati: luoghi tutti uguali, dove trovi un’uniformità di proposte che è sconsolante. Un appiattimento che non attrae più, e fa pensare al lettore: “Tanto vale che acquisti su internet: non sto a perdere tempo e magari trovo anche sconti maggiori”.
Be’, poi ci sono gli ebook…
Sì, ma non credere che abbiano stravolto il mercato. Stanno prendendo spazio, ma sono ancora abbastanza confinati a percentuali poco significative. E in ogni caso sono sempre libri. Quindi, ben vengano.
E dell’editoria a pagamento, che cosa ne pensi?
Lo sai, perché ne ho sempre detto il peggio possibile. Gli inglesi la chiamano vanity press, per dire che sfrutta la vanità, o meglio l’ambizione degli aspiranti scrittori. Trovo al limite del raggiro che ci siano case editrici che chiedono soldi agli aspiranti autori per pubblicarne i libri con la promessa, quasi sempre disattesa, di distribuirli in libreria. Alcune li obbligano anche a comprarne una buona quantità, che troppe volte sarà tutto ciò che quel titolo sarà riuscito a vendere. Trovo orrendo speculare sulle ambizioni di chi vuole vedere un proprio libro pubblicato. È un fenomeno che danneggia la buona editoria.
Che ne dici delle trasmissioni tv che diventano una vetrina per autori di libri, che tutti comprano ma pochi leggono?
Dico che… fanno bene, se per farsi notare come autori ormai si deve usare la tivù! Una volta andavi in tivù se avevi scritto un libro di successo. Era il libro stesso che ti dava la notorietà. Adesso succede il contrario: sei un personaggio già noto, allora scrivi un libro…
O te lo fai scrivere: ricordiamoci la sempre più diffusa figura del ghostwriter…
Giusto: ho letto le dichiarazioni di una ghostwriter che ha deciso di uscire dall’anonimato per raccontare che in 10 anni ha scritto 40 libri per un grosso editore, che sono usciti firmati da cantanti, attori, magistrati, sportivi, personaggi tv, fotografi, cuochi… Insomma, anche gente che con la scrittura ha ben poca familiarità. Addirittura esistono agenzie di ghostwriting, che in trenta giorni ti sfornano un libro.
Lo trovi etico?
Lo trovo squallido. Credo che sia uno dei più grossi inganni che ha fatto piombare l’editoria nel ridicolo, facendole perdere serietà e credibilità. Si parla tanto di fake news, bisognerebbe incominciare a parlare di fake books, di fake writers. È come se uno millantasse di essere un bravo medico, essendo invece un avvocato. La “professione” di scrittore, come quella degli artisti in genere, si presta purtroppo a questi inganni, a essere abusata da chi scrittore non è. Capisco le collaborazioni: quando un professionista di un dato settore vuole raccontare le proprie esperienze o la propria vita, ma la scrittura non è il suo pane quotidiano, nulla gli impedisce di farsi aiutare da chi scrive per mestiere. Però allora lo dichiara apertamente, e in copertina compare bene in mostra anche il nome dell’estensore dei testi. Con l’invenzione dei ghostwriter anche gente al limite dell’analfabetismo può vantarsi di aver pubblicato un libro, senza aver mai preso la penna in mano o aver pigiato il tasto di una tastiera. E poi, invece di seguire l’iter a cui sono costretti i “comuni mortali”, usano la loro notorietà, che deriva da altro e non di certo dalla bravura di scrittori, per pubblicizzare i “loro” libri nelle varie ospitate tv.
Un tempo li avrebbero definiti impostori.
Ormai invece è un fenomeno accettato, una moda a cui si guarda con indulgenza. I grossi editori fanno tendenza, alla faccia della credibilità. Stanno condannando l’editoria a pura finzione. Dopo averla condannata a espressione del Pensiero Unico, cosicché fai strada solo se appartieni a un certo “gotha” politico.
Allora diventi il prezzemolo di ogni trasmissione tv… Tornando, ai fake writers, questi falsi scrittori: quando parlano dei loro libri, sembrano dei bimbi che gongolano davanti a un nuovo gioco.
Sì, è strano: anche se sono personaggi già noti, sembra che non si sentano arrivati se non hanno al loro attivo almeno un libro, anche se in realtà da soli non saprebbero neanche da che parte incominciare a scriverlo.
Così costringono i librai a riempirsi di questi libri scritti da ignoti ma firmati da noti, e occupano lo spazio.
Ecco, è proprio così: ormai è tutta una gara a chi occupa prima e di più lo spazio. E per i piccoli editori, che non hanno la forza economica di promuovere i libri come i grandi, diventa sempre più difficile esserci.
Diana, qual è la vita media, oggi, di un libro in libreria?
Sempre più bassa. Lasciando stare le classiche meteore, che sembrano destinate a fare sfracelli e poi cadono nell’oblio nel giro di poche settimane, direi che un paio di mesi è già un buon risultato. Ma non significa stare in vetrina o bene in vista per tutto quel tempo: significa esserci, ma piano piano venire confinati in posizioni sempre meno visibili e accessibili.
Per te il discorso è diverso, direi in controtendenza rispetto all’andamento generale: tu hai un libro che vende incessantemente da 22 anni! Parlo di Paco il Re della strada, ma dovrei anche parlare di tutti i tuoi libri, che sembrano vivere un’eterna giovinezza… O le classiche 7 vite, visto che alcuni parlano di gatti. Qual è il segreto di questo successo?
Devo correggerti, in parte: non sono solo i miei libri ad avere questa vita molto più lunga rispetto alla media. Sono tutti i libri di Paco Editore a godere di una sorta di “eterna giovinezza”. I motivi sono tanti: innanzitutto gli argomenti. Gli amanti dei gatti, ma anche dei cani (che si sono portati alla pari, dopo un iniziale gap, dovuto forse al fatto che, rispetto a quella felina, la letteratura “canina” era limitata), sono lettori interessati e spesso appassionati. E nel catalogo di Paco Editore trovano tante proposte adatte a loro. Poi anche il fatto che su ogni numero della rivista Amici di Paco presentiamo la nostra offerta editoriale completa, con la possibilità di acquistare direttamente da noi, ed è importante per i libri non recentissimi, che in libreria si farebbe fatica a trovare; poi ci sono il sito del Fondo Amici di Paco, o il mio, in cui i libri sono sempre presenti e presentati.
Ok, per quanto riguarda tutti gli altri libri. Ma Paco, il Re della strada vanta un ulteriore canale di diffusione: la scuola.
Sì, in effetti è così. È un canale molto importante, non tanto e solo per le vendite, quanto per la possibilità di raggiungere tanti ragazzi e sensibilizzarli. Per almeno una dozzina d’anni, o forse di più, Paco, il Re della strada era edito anche in versione scolastica da Mursia e poi da Edumond (Mondadori educational, n.d.r.) Era uno dei libri più richiesti, perché piace molto ai ragazzi e agli insegnanti, che gli attribuiscono un grande valore educativo e lo usano come base per un percorso didattico incentrato sul rispetto verso il prossimo, inteso come animali ma anche uomini.
Adesso però non è più in catalogo Mondadori.
No, perché ogni tanto il catalogo viene rinnovato. Però ricevo spesso telefonate da insegnanti che si lamentano perché non lo trovano più in versione scolastica e se ne dispiacciono perché era uno dei libri più amati dai ragazzi, che di solito non apprezzano molto le letture consigliate dalla scuola. E così da qualche anno lo forniamo noi direttamente come Paco Editore a quelle scuole che lo vogliono.
Ecco, vorrei farti parlare proprio di questo: di questo straordinario successo di un libro di 22 anni fa, che riesce ad appassionare ancora tanti ragazzi. Lo vedo dalle lettere che ricevi e pubblichi sul tuo sito, nella sezione “libri” della “Posta di Diana”.
Sì, guarda, è una cosa che non finisce mai di sorprendermi ed emozionarmi. Una soddisfazione enorme. Ricevere queste lettere dai ragazzi, che mi dicono e mi dimostrano di aver apprezzato e amato la storia di Paco, dà senso a tutto quello che faccio da anni. Perché non si tratta, come molti pensano in modo riduttivo, di occuparsi solo “di animali”, ma anche di creare un contatto con ragazzi che hanno bisogno di imparare, di capire come evitare gli errori degli adulti e aprirsi, armati di valori positivi, al mondo.
So che la tua scrittura, in particolare il libro di Paco, ha aiutato tanti ragazzi…
Sì, è vero. Ho scoperto che i ragazzi si identificano in questo cane-eroe e, galvanizzati dal suo esempio, si sentono più forti nell’affrontare la vita. Ho parecchie testimonianze in questo senso. Te ne ricordo una: quando nel 2012, in ripresa da tutti i miei problemi di salute, feci la mia prima riapparizione pubblica, fu al teatro di Arese, per parlare a quasi trecento studenti del libro di Paco, che avevano letto a scuola. Una serata indimenticabile ed emozionante, alla fine della quale seppi dalle insegnanti quanto il mio libro aveva fatto bene a ragazzi “difficili” e poco comunicativi, che in Paco si erano identificati e grazie a lui si erano sentiti più uniti tra di loro. Raccolsi le confidenze di alcuni di questi ragazzi e capii che dovevo andare avanti per quella strada.
Quella volta Paco non c’era più, ma un tempo ti invitavano nelle scuole con lui.
Oh, sì, e ogni volta era un’esperienza bellissima: vedere i ragazzi che lo accerchiavano per fargli le feste era molto bello. Lo consideravano un amico, dopo aver letto le sue avventure. E devo dire che lui sembrava davvero contento di incontrare tanti nuovi amici.
Quando ti scrivono, i ragazzi, che cosa ti scrivono?
A volte mi fanno solo domande sul libro, sui personaggi, e capisco che hanno assorbito ogni parola e ogni episodio e hanno tanta voglia di approfondire, capire. A volte invece mi parlano di loro, mi raccontano le loro esperienze, i loro sogni. Capisco di avere una grande responsabilità nei loro confronti, perché sono ancora malleabili, hanno ancora fiducia, e non si può ingannarli.
Insomma, grazie agli animali, si riesce a creare rapporti più profondi anche con gli esseri umani?
Oh, assolutamente sì… non ho mai avuto dubbi in proposito. Tutti i ventidue anni di impegno nel Fondo Amici di Paco me l’hanno dimostrato in tantissime occasioni: si creano rapporti splendidi, amicizie, scambi di idee… si cresce insieme. È il motivo per cui amo tanto gli animali e occuparmi di loro: perché sono esseri magici, che fanno tanto bene agli esseri umani. Doni di Dio, anche se spesso non li meritiamo.
Grandissimi doni. A proposito di crescere, credi che i ragazzi che leggono il tuo libro cresceranno migliori?
Potrebbe sembrare una domanda provocatoria, ma so che non la è. Eh, sì: ho la presunzione, ma anche la sincera convinzione, che il libro di Paco e, spero, gli altri miei libri possano produrre l’effetto per cui, alla fin fine, li ho scritti: diffondere i valori dell’amore, del rispetto, e aumentare la consapevolezza del nostro ruolo di custodi del mondo in cui abbiamo il privilegio di vivere. Non già come esseri superiori, ma fruitori di un grande Dono: quello di poter aiutare il Creato e onorare il tesoro della Vita.
C’è una lettera, Diana, che ti ha colpita più di altre?
Ognuna a modo suo mi colpisce, perché leggo tanta sincerità, tanta sensibilità, tanto stupore verso una realtà, come quella del randagismo e i rapporti con gli animali in genere. Tra le ultime che ho ricevuto, pochi giorni fa, c’è quella di Alessandro, studente della scuola media di Saronno. Dopo le prime frasi in cui mi fa dei bellissimi complimenti, mi scrive testualmente: “Questo libro mi è piaciuto così tanto che per la prima volta sono riuscito a leggerlo tutto da solo: per me è stato un grande successo, visto che sono dislessico.” La sua email mi è arrivata una sera mentre stavo spegnendo il computer. E dopo averla letta sono andata a dormire con una grande serenità e la consapevolezza di essere sulla strada giusta. Sono queste le piccole grandi soddisfazioni che danno un senso a quello che sto facendo.
Una bella spinta a continuare.
Certo! È un grosso impegno, e mi capita ogni tanto di pensare se sia giusto sacrificare tanta parte della mia vita per gli animali. Poi mi arrivano lettere come quella di Alessandro, e ogni dubbio svanisce. Perché in realtà non è un sacrificio, ma una specie di missione che il destino ha voluto assegnarmi per migliorare un pezzettino di mondo. Non si tratta solo di aiutare gli animali ma anche tante persone, tanti giovani, a coltivare sentimenti positivi e aprirsi al mondo con amore e bontà. E ancora una volta dico grazie al destino per avermi fatto incontrare il mio Paco e aver potuto, grazie a lui, parlare a tante persone e, nel mio piccolo, aiutarle.
Ed ecco svelato il segreto della longevità di un libro che è diventato un cult, il primo che racconta le avventure di un randagio e aiuta tanti ragazzi, ma anche tanti adulti, a riflettere e ad aprire la propria mente.
Forse c’è anche un altro segreto: che il protagonista della storia sia un cane vero, e non inventato, fa riflettere tante persone sulle crudeltà verso gli animali in modo concreto, non astratto.
Non dimentichiamoci lo stile che hai scelto: raccontare una storia a momenti anche dura, con toni pacati.
Sì, ho sempre evitato i toni urlati: preferisco “persuadere con dolcezza”, col sorriso sulle labbra più che con i pugni nello stomaco. È il mio motto, ma anche il mio modo di affrontare il mondo.
Diana, sei l’unica scrittrice che conosco che dai suoi libri non ha mai preso un soldo, ma devolve tutti i diritti d’autore in beneficenza. Non hai mai qualche ripensamento?
La mia scelta, che è nata con l’uscita del libro di Paco, e che incidentalmente, come ho spiegato in Paco. Diario di un cane felice, ha determinato la nascita del Fondo Amici di Paco, è oggetto di discussione da tempo col mio entourage di collaboratori secondo i quali dopo una bella quantità di libri “regalati” al Fondo Amici di Paco potrei anche pensare di trattenere i diritti d’autore. Ma è una promessa che mi sono fatta, e finché la scrittura sarà un’attività collaterale rispetto al mio lavoro andremo avanti così. È il mio modo di fare volontariato, sfruttando le mie capacità e mettendole al servizio di una causa a cui tengo. Se poi un giorno potrò dedicarmi a tempo pieno alla scrittura e di conseguenza impegnarmi di più per raggiungere livelli di vendita molto maggiori, magari penserò a trattenere una percentuale dei diritti, pur lasciando una parte considerevole al Fondo Amici di Paco. Ma vedremo.
Dopo 19 libri di successo, che programmi hai?
Così tanti, che per scaramanzia non li dico.
Prima hai accennato ai tuoi problemi di salute…
Acqua passata, o quasi. Sai come sono nati: da quella scellerata operazione alle tonsille del 2009 che mi ha messa in pericolo di vita per due volte, creandomi infezioni continue e minando il mio sistema immunitario. Una storiaccia, che mi ha costretta a farmi togliere le tonsille tre anni dopo, a un’età in cui tutti lo sconsigliano. Ma ero messa talmente male che non c’erano alterative. E devo ringraziare il chirurgo che, unico tra tutti, ha avuto il coraggio di rioperarmi. La mia gola non è più quella di un tempo, e mi dà un bel po’ di problemi, però almeno ho ripreso in mano la mia vita.
So che hai passato dei momenti molto brutti. Ma… hai ottenuto giustizia?
Ma neanche per idea: è ancora tutto fermo, a distanza di quasi dieci anni, perché pur essendo stata appurata la negligenza di quell’individuo (mi rifiuto di chiamarlo medico), l’ospedale rifiuta di fare il suo dovere.
Da tempo “minacci” di scrivere un libro su questa vicenda.
Sì: partendo dal presupposto che ci sono tanti medici seri, preparati, validi, purtroppo ci sono anche delle mele marce, che vanno isolate e messe in condizioni di non nuocere. Non ammetterlo, fare finta di niente e coprirle, da parte dei loro colleghi, si rivela un boomerang, perché questi figuri nuocciono all’immagine dell’intera categoria medica.
Vorrei chiudere chiedendoti che cosa rappresentano i cani nella tua vita.
L’amore, la devozione, la bontà, l’integrità, la pulizia interiore, l’incapacità di tradire. I cani sono degli specchi formidabili: se io guardo negli occhi i miei cani, occhi profondi, limpidi e indagatori, non devo abbassare lo sguardo, perché in loro vedo riflessa la mia anima.
Un’anima bella. In bocca al lupo, Diana.
Evviva il lupo!
Paola Cerini – da Amici di Paco n°71