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Cinitaly: come ti cinesizzo l’Italia…

Siamo alla farsa con risvolti tragici. La farsa è la gestione di una pandemia da parte di clown mascherati da politici, e la tragedia è che non si tratta di una farsa ma di realtà.
Dopo la task force antifakenews, che ha il non detto scopo di tacitare le opinioni non allineate col PUD (Pensiero Unico Dominante), dopo aver sguinzagliato droni, elicotteri, poliziotti a piedi e a cavallo (a quando i carri armati?) per perseguitare corridori solitari o amanti della tintarella, dopo aver multato (è di ieri) due fidanzatini con tanto di mascherina per essersi abbracciati in centro a Pavia, i nostri malgovernanti filocinesi per… combattere la movida (così definiscono, per connotarla di sensi di colpa, una semplice uscita con gli amici per bersi un aperitivo) intendono creare una specie di sceriffo di quartiere che controlli la vita dei cittadini.
La delazione al servizio della salute pubblica. La criminalizzazione del cittadino che si riprende i suoi spazi.


Sono completamente andati via di testa. In un delirio di onnipotenza, o travolti dalla paura di una rivolta popolare, hanno deciso di regolamentare ogni comparto della nostra vita, e per farlo non si vergognano di cadere nel ridicolo e nell’assurdo.
È di ieri la notizia (che sembra una barzelletta, ma non la è) che il ministro Boccia (già il fatto che un soggetto del genere ricopra la carica di ministro è tutta da ridere) si è inventato la figura dell’ “assistente civico” che dovrà aiutare “i nostri sindaci nel rammentare a tutti le regole del distanziamento sociale”. Una sorta di spione, mascherato da volontario in soccorso ai nonnini, un kapò che pur non potendo elevare contravvenzioni potrà chiamare le forze dell’ordine segnalando i pericolosi trasgressori… Gli spacciatori? Gli stupratori? I ladri? Gli scippatori? Nooo. A quelli ci pensa tutt’al più Brumotti di Striscia la notizia, che sta facendo il lavoro sporco di stanare i delinquenti, visto che Carabinieri e Polizia sono troppo occupati a rincorrere ciclisti senza mascherina o a misurare al millimetro la distanza tra i tavolini dei bar.
I lestofanti che gli sceriffi di quartiere dovranno stanare saranno quei pericolosi sovversivi che andranno a prendere una boccata d’aria dopo mesi di arresti domiciliari, a bersi un aperitivo, a fare due chiacchiere con gli amici (due e non quattro, che sarebbero troppe e non sono neppure contemplate nel decreto n° 2084 bis comma 226).
La chiamano “movida”, per darle un’accezione negativa, peccaminosa. Sicuramente non sanno che il termine “movida” venne usato negli anni ’80 per (come spiega la Treccani) definire la “speciale atmosfera di vitalità in campo culturale e artistico e il particolare dinamismo intellettuale che presero a caratterizzare la Spagna” dopo la caduta del regime franchista. Quindi manco sanno quel che dicono, ma pur di scaricare sui cittadini e indicarli come i colpevoli o, peggio, aizzarli gli uni contro gli altri, ricorrono a termini che nell’immaginario collettivo evocano un clima torbido di eccessi e depravazione.
Ovviamente sui social si è scatenata una bufera, tra condanne durissime o anche solo strali ironici e prese in giro. Cosa che ha portato il ministro Boccia, che ieri in mezzo a una strada (dove vorrebbero mandarcelo in tanti) mostrava tutto orgoglioso il modello della pettorina che ornerà i toraci degli eroici sceriffi, a un’arrampicata sui vetri per smentire sé stesso. Disciplina in cui questo governo statalista e assistenzialista è ferratissimo. Non si contano infatti le partenze in quarta e le retromarce improvvise, senza nemmeno toccare i freni per rallentare: da corsa in avanti a indietro tutta. Specialità in cui eccellono. Saranno carenti in tutte le altre, ma in questa sono campioni.
Dicono che avessero pensato anche a una stella da apporre sul petto, ma poi abbiano ripiegato sulla semplice pettorina.
Non si sa invece se gli spioni civici viaggeranno a piedi o in monopattino, godendo del bonus previsto dal governo che vuole fare degli Italiani, su modelo cinese, un popolo di ciclisti e monopattinisti (ovviamente su prodotti made in Cina, e arrivati qui direttamente tramite la Via della seta).
Non si sa nulla neanche della mascherina. Si vocifera che sia in studio da qualche stilista e ci verrà presentata a giorni. Forse durante la prossima televendita di Giuseppi. Che, adesso che ci penso, è da un po’ che ci priva delle sue roboanti promesse e della sua bodenza di fuogo in prima serata tv.

Siamo davvero alla farsa. Quello che non si capisce è come un popolo abituato a essere libero abbia potuto accettare tutte queste restrizioni delle proprie libertà quasi con condiscendenza. Una specie di sindrome di Stoccolma di massa, estesa a un’intera nazione.
Che cosa ci è successo? Possibile che la paura abbia annientato ogni facoltà di pensare liberamente e di capire che c’è qualcosa che non quadra nella storia che ci hanno raccontato finora? Possibile che mentre medici stimatissimi come il professor Zangrillo del San Raffaele si spendono per spiegare che il virus è regredito in quantità e qualità, che possiamo tornare a riveder le stelle, e i giovani riprendono a vivere, seppur additati come incoscienti dai politici e virologi repressori, tanti adulti siano percorsi da brividi alla sola idea di ricominciare a mettere il naso fuori di casa, incontrare persone, ritornare a fare la vita che ci spetta? Un po’ come quando a inizio stagione vai la mare, metti il piede in acqua sperando di sentirla calda, e sentendola appena tiepida ti ritrai rabbrividendo per paura di buscarti un raffreddore.

Certo, ci si sono messi di buzzo buono in tanti a spaventarci. Con le loro certezze ma ancora più con le loro incertezze.
Mi è bastato vedere ieri sera Non è l’arena, la trasmissione di Massimo Giletti su La7. C’erano Pregliasco e Bassetti, due dei più assidui frequentatori della tv ai tempi del covid. Quando sono apparse le consolatorie immagini dei ragazzi che dopo mesi di buona condotta sono usciti dalla prigionia e, com’è nella natura dei giovani, si sono ritrovati e hanno fatto festa (anche solo bevendo un aperitivo), Pregliasco ha gridato allo scandalo; mentre Bassetti, meritandosi il plauso di Alessandro Cecchi Paone, ha ammesso che i giovani si sono finora comportati più che bene e le immagini che si vedevano erano giustificabili. Al secondo intervento Pregliasco era già meno scandalizzato, molto più possibilista e tra sorrisini imbarazzati ha fatto una delle sue clamorose retromarce.
Questa è esattamente la linea che hanno seguito tanti “scienziati”: tremende sparate, seguite da timide autosmentite per timore di perdere consensi o non rimediare altre ospitate in tv. L’esatta riproduzione di quanto fatto dalla politica.
E da questi noi avremmo dovuto ricevere disposizioni chiare, e gli stessi pretendono la nostra fiducia.
Io sono felice di vedere tutti quei ragazzi riaggregarsi, aver voglia di stare insieme: il mio timore era che d’ora in poi ognuno avrebbe visto nel prossimo il nemico, l’untore da tenere a debita distanza. E invece la mia paura è scomparsa vedendo le immagini di una ritrovata salute fisica e mentale. Io stessa quando esco mi accorgo di sorridere molto più volentieri, sotto la maledetta mascherina, alle persone che incontro. Persone a cui mi sento vicina come non mai, che hanno subito e ancora stanno subendo condizionamenti e restrizioni inconcepibili, intollerabili.
La mascherina è l’ultimo simulacro, l’ultima testimonianza di questo orribile periodo di oscurantismo. Il bavaglio che ora vorrebbero imporci a tempo indeterminato, qualcuno a vita, per non permetterci mai di rilassarci; per ricordarci, a ogni istante, che c’è un nemico invisibile, subdolo, che mentre noi aneliamo a fare la nostra vita è lì pronto a ghermircela.
In realtà non è così. Quello che è successo è successo per tutta una serie di errori di cui abbiamo già parlato. Ma non potrà più succedere, perché oltre a tanti “scienziati” inadeguati ci sono anche medici che hanno conservato la loro coscienza e non ci stanno a farci credere che dobbiamo sentirci eternamente sotto minaccia e rinunciare a vivere per aderire al modello cinesizzato di una vita che non ci piace, che non è la nostra vita.
In Cina sono abituati a essere repressi, soggiogati, e forse la libertà rischierebbe di soffocarli più di qualsiasi mascherina. Capita a chi non è avvezzo a gestire la propria vita da individuo pensante, perché lo Stato pensa a tutto anche per te.
Con questa faccenda degli “assistenti civici”, che si somma a tutte e altre misure di “contenimento” della nostra libertà, persino di pensiero, è chiaro che le stanno studiando tutte per farci diventare una succursale della Cina, dove i diritti civili sono pressoché inesistenti e il controllo dei cittadini è totale.
Ma non è cosa che si scopre oggi: raccogliendo per il mio nuovo libro Antivirus gli articoli che ho scritto dal 2005 a oggi, mi sono stupita di quante analogie ci siano tra ieri e oggi, di come tutto fosse già scritto o comunque prevedibile. E di come i corsi e i ricorsi della storia ci abbiano infilati in uno dei peggiori cul de sac.
Ma spero che questa volta abbiano fatto i conti senza l’oste: il popolo Italiano, stufo di essere vessato, preso in giro, tiranneggiato, e sul punto di esplodere.  E di vivere una nuova vera “movida”: una rinascita culturale, sociale ed economica dopo il defunto e nefasto regime “contista”.
L’Italia non diventerà Cinitaly.

Diana Lanciotti

P.S. Come anticipato Boccia, subissato da critiche e derisioni, si è prodotto in un penoso rimangiamento. Peccato che proprio lui, circa gli “assistenti civici”, abbia scritto su twitter (v. inmmagine): “aiuteranno i nostri sindaci nel rammentare a tutti le regole del distanziamento sociale”. Non hanno neanche il coraggio di andare fino in fondo con le loro scelte. E questi pretendono di governare l’Italia?

P.P. S. A proposito di Cina e repressione, leggete questo articolo del 2017 di Repubblica. Vedrete che la fissa di chi governa è proprio quella di avere il controllo totale dei cittadini.

Cina, il Grande Fratello che controlla un miliardo e mezzo di cittadini

Il governo di Pechino sta sviluppando un sistema di sorveglianza che accompagna la vita di ogni cittadino dalla mattina alla sera. Cinquecento milioni di telecamere, riconoscimento facciale e vocale, censura in rete e controllo dei social network. E Libération simula una giornata sotto l’occhio vigile dello Stato
di MASSIMO FERRARO

29 dicembre 2017

IN CINA la sorveglianza di massa è già realtà. Una delle priorità del partito comunista cinese è quella di modernizzare il sistema di controllo sulla popolazione: telecamere, riconoscimento facciale e vocale, censura in rete e controllo dei social network. Nulla sfugge all’occhio dello Stato. Già oggi per entrare nella celebre piazza Tienanmen bisogna passare la carta d’identità in un apparecchio che la scannerizza e ne conserva i dati. I siti stranieri, come quello del New York Times, di Le Monde e del Wall Street Journal, sono irragiungibiili dai server cinesi, e dal prossimo anno sarà impossibile ingannarli – collegandosi attraverso Vpn, Virtual private network – senza un’apposita certificazione. Google e Instagram sono bloccati dal 2014, Facebook dal 2009, e neanche Skype è più scaricabile sul proprio smartphone da questo autunno.

Non finisce qui. Secondo una ricerca del centro studi inglese Ihs Markit, nel 2016 in Cina erano già presenti 176 milioni di telecamere di sorveglianza: entro il 2020 ne verranno installati altri 450 miloni. Una ogni due abitanti (negli Stati Uniti ce ne sono una ogni sei). Sempre entro il 2020, verrà adottata quella che forse è la misura più inquietante: un sistema di “credito sociale”, come spiega il quotidiano francese Libération, che valuterà le azioni reali e virtuali di tutte le persone e le organizzazioni. Premi, ammende o divieti, a seconda del proprio comportamento in rete e nella vita di tutti i giorni. Per chi ha visto la serie televisiva Black Mirror – sulle conseguenze estreme delle nuove tecnologie – questa notizia suonerà piuttosto familiare.

Ma per uscire dalla freddezza dei numeri e capire il reale impatto di un controllo di Stato così pervasivo, i giornalisti di Libération hanno fatto un esperimento, basandosi sulle capacità reali di sorveglianza che ha oggi il governo. Hanno immaginato la giornata tipo di una ragazza di Pechino. Le hanno pure dato un nome: Qian. Qian lavora per un’azienda di intelligenza artificiale, è fidanzata con un professore universitario e parla inglese.

Mattina – Nel tragitto per andare a lavoro, Qian vede la sua faccia immortalata in un grande schermo al centro dell’incrocio. Le telecamere hanno registrato il suo viso, targa e modello della macchina: è la seconda volta che passa con il rosso, la sua foto non sparirà finché non pagherà la multa. Arrivata in ufficio, Qian non timbra il cartellino: lo scanner riconosce la sua faccia, le porte si aprono. Anche i pannelli digitali la riconoscono, e trasmettono pubblicità di viaggi basandosi sulle ricerche online fatte dalla ragazza la sera prima. Su Weibo, il Twitter cinese, un fantasioso sistema di metafore e giochi di parole per aggirare la censura sembra alludere a un piccolo scandalo di un funzionario di partito. Quian vuole saperne di più, ma deve stare attenta: basta un commento sgradito, anche in una chat privata, per essere condannati a qualche giorno di prigione. A proposito di metafore fantasiose: dal web sparirono tutte le immagini de “La sedia” di Vincent Van Gogh, perché usata per simboleggiare l’assenza di Liu Xiaobo a Oslo, durante la cerimonia del premio Nobel per la pace che gli fu assegnato nel 2010, mentre il dissidente era costretto dietro le sbarre. Stessa sorte per Winnie the Pooh: l’orsetto avrebbe una vaga somiglianza con il leader Xi Jinping.

Pomeriggio – Qian si connette tramite Vpn ai siti stranieri. Su quelli locali, la notizia del funzionario di partito è sparita: i media ricevono spesso circolari ministeriali che li costringono a rimuovere contenuti riguardanti soggetti sensibili. Come il Natale. Secondo il sito China Digital Times, il 22 dicembre è stato ordinato ad alcune testate di eliminare qualsiasi riferimento alla festività, ritenuta “oppio dello spirito”. Anche al telefono, Qian deve usare un po’ di cautela. Il controllo non è solo sui messaggi, ma anche sulle parole, tramite un sistema di campionamento vocale che finora avrebbe stoccato oltre 40 milioni di voci di cittadini.

Sera –  Le telecamere del supermercato registrano Qian in fila alle casse. Tornata a casa, la ragazza ascolta le preoccupazioni del suo compagno. I suoi studenti si lamentano perché l’università ha installato delle telecamere anche nei dormitori. A giugno, in un liceo di Pechino, l’occhio del Grande Fratello è entrato persino nei bagni della scuola. Ed entro qualche anno, anche le lezioni verranno filmate, “per sorvegliare la qualità dell’insegnamento”. La coppia decide infine di mangiare a casa. E questo lo sappiamo perché, dal garage della loro abitazione, il Gps della macchina continua a inviare il suo segnale.

REPUBBLICA

https://www.repubblica.it/esteri/2017/12/29/news/cina_il_grande_fratello_che_controlla_un_miliardo_e_mezzo_di_cittadini-185424301/

N.B. Questo è uno dei 160 articoli contenuti nel nuovo libro Antivirus. Emergere dall’emergenza di Diana Lanciotti – Paco Editore.

2 commenti

  • GIUSEPPE LOI

    Come siamo caduti in basso!!
    Dov’è andata a finire la nostra libertà?
    E’ davvero schifoso ed inaccettabile tutto questo sistema. Ci sono i requisiti per cominciare a pensare ad una rivolta popolare prima che sia troppo tardi.

  • M.V.

    Peggio di un incubo notturno!!!
    Però secondo di Maio la “via della seta” è un sogno bellissimo….
    Qualcuno dovrebbe portarlo a visitare qualche gulag siberiano anche perché in Cina difficilmente gli farebbero fare un sopralluogo in qualche sito di… rieducazione!!!
    Quanto ai sessantamila arruolati sceriffi da Boccia,credo proprio che il ministro si sia bocciato da solo di ridicolo

    M.V.

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